Il sonnambulo Copernico

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«Da Ruggero a Bacone nel XIII secolo fino a Pietro Ramo nel XVI c’erano state scuole e uomini eminenti per capire più o meno chiaramente che bisognava mettere da parte la fisica di Aristotele e l’astronomia di Tolomeo prima di poter pensare a una nuova partenza. È forse per questo che Regiomontano si costruì un osservatorio invece di edificare un sistema. Una volta completati i commenti su Tolomeo cominciati da Peuerbach si rese conto che bisogna rinnovare le basi dell’astronomia “sbarazzando la posterità dalle tradizioni antiche”. Per Copernico questa era una specie di bestemmia. Se Aristotele avesse dichiarato che Dio creò unicamente uccelli, il canonico Koppernigk avrebbe descritto l’homo sapiens come un uccello senza piume e senza ali che cova prima di deporre le uova».

Arthur KoestlerI sonnambuli, storia delle concezioni dell’universo, Jaca Book, Milano 2010, p. 212.

Il giudizio di Lutero su Copernico

Si parla di un nuovo astrologo che vuol dimostrare che la Terra si muove invece del cielo, del Sole e della Luna, come se un uomo su un carro o in barca pretendesse che non si muove di posto ma che sono la Terra e gli alberi che viaggiano. Ma è così al giorno d’oggi: quando un uomo vuol fare il furbo, bisogna che inventi qualcosa e il suo modo di fare deve essere necessariamente il migliore. Questo imbecille vuol mettere con i piedi per aria tutta l’arte della astronomia. Solo che, e la Sacra Scrittura ce lo dice, è al Sole che Giosuè ha ordinato di fermare e non alla Terra

Martin Lutero, Discorsi a tavola, Walch, p. 2260, in Arthur KoestlerI sonnambuli, storia delle concezioni dell’universo, Jaca Book, Milano 2010, p. 151.

La psicoanalisi ha ucciso la scienza

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«Né l’ignoranza né le minacce di un’immaginaria inquisizione alessandrina possono spiegare perché gli astronomi greci, dopo aver scoperto il sistema eliocentrico, gli voltarono le spalle. Cicerone, Plutarco, Macrobio, sapevano che il Sole governa i movimenti dei pianeti; al tempo stesso, tuttavia, rifiutavano di ammettere questo fatto. O forse è questa irrazionalità che ci fornisce la chiave del problema, obbligandoci a rinunciare all’abitudine che abbiamo di trattare la storia della Scienza in termini puramente razionali. Perché ammettere che gli artisti, i conquistatori, gli uomini di stato obbediscano a motivi irrazionali e rifiutarlo soltanto agli eroi della scienza? Gli astronomi post-aristotelici negavano e affermavano ad un tempo il dominio del Sole sui pianeti; la ragione cosciente ha un bel respingere questo paradosso, è connaturato all’inconscio simultaneamente affermare e negare, dire di sì e di no alla stessa domanda, in qualche modo sapere e non-sapere».

Arthur KoestlerI sonnambuli, storia delle concezioni dell’universo, Jaca Book, Milano 2010, pp. 74-75.

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Nella foto, gli epicicli e i deferenti di Tolomeo.

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Una delle chiavi per comprendere la rivoluzione che ha apportato la “scoperta dell’inconscio”, o la nascita della psicoanalisi come scienza, consiste nel ruolo che assume la scienza moderna dopo la morte del positivismo.
Come tutte le morti eccellenti, dall’eroe rivoluzionario all’eroe mitico, ogni morte non costituisce una dipartita. Dio è forse morto più di un secolo fa, nel 1882, o addirittura duemila anni fa. Eppure ciò non toglie che esso continui a persistere, a insistere, diciamo in un certo senso ad esistere. La morte in questi casi, riguardi Dio o l’iDeologia della positivismo, non attiene a chi muore, ma a chi vi assiste. La morte di un Illustre (religione o ideologia) è sempre per noi (come può un dio morire?), mai per lui. In altre parole, la morte in questi casi non è la fine di niente fintantoché non ci se ne rende conto.
Cosa ha ucciso la psicoanalisi? La scienza, proprio nel momento in cui ha reso scientifico lo studio di qualcosa che non è possibile osservare oggettivamente: il soggetto. La psicoanalisi ha rivoltato come un guanto il metodo scientifico, costringendolo a ripiegarsi su se stesso, osservando il suo stesso metodo, la sua oggettività. E’ impossibile fare della psicoanalisi una scienza esatta, eppure ha un metodo comprovato, collaudato ed efficace, con la differenza, rispetto alla scienza tout-court (quella dei laboratori e dell’osservazione di oggetti inerti), che non ha una fine: non si “guarisce” dai propri sintomi nevrotici o psicotici, altrimenti uno psicoanalista non sarebbe niente di diverso da un medico (un neurologo?). Ciò che la psicoanalisi garantisce, ed è già un grande successo, è lavorare sui propri sintomi.
Così, dichiarare la morte della scienza, come di Dio o di un’ideologia, non comporta niente di apocalittico. La morte della scienza non è la sua fine (si continuerà a credere, chissà per quanto, all’oggettività per intendere il sapere autentico), soltanto una nuova consapevolezza del suo ruolo: sappiamo oggi che è un metodo conoscitivo come un altro, anche se non tutti lo sanno, come l’inconscio, che è qualcosa di cui si sa che non sappiamo nulla.
Koestler, tracciando una storia della scienza, mostra come non ci sia alcun cammino verso l’oggettività, così come non c’è alcun progresso, semmai una pratica soggettiva che va convalidata dalla collettività, altrimenti non vale niente.

ps: la morte di Dio e della scienza è un’ottima notizia per il comunismo o più in generale per le pratiche politiche di emancipazione. Esperto di fallimenti, il comunismo, pur essendo morto, ha ancora tanto da dire, e ne avrà forse per sempre -come appunto Dio e la scienza- soprattutto in un periodo come questo, pieno zeppo di capitalismo.

Che cos’è la matematica?

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«”Matematico” deriva, quanto alla sua formazione, dal greco τα μάθημαματα, ciò che si può imparare ed insieme insegnare; μανθάνειν significa imparare, μάθησις insegnamento […].

Da lungo tempo siamo abituati a pensare ai numeri, ogni qualvolta si usa il termine “matematico”. Chiaramente la mathesis e i numeri sono tra loro in rapporto. Ma ora, essendo i numeri in tale relazione con la mathesis, ci si deve chiedere ancora: perché proprio i numeri vengono considerati come ciò che è in senso eminente “matematico”? Cos’è mai la mathesis, se proprio il numero dev’essere concepito e rappresentato come il “carattere matematico” per eccellenza? 

Μάθησις significa apprendimento; μαθήμαματα ciò che può essere appreso. Come si è detto, con tale nome si indicano le cose in quanto possono essere apprese. L’apprendere è un modo di ricevere facendo proprio ciò che si riceve. Quindi non ogni prendere è un apprendere. Ora, qual è il modo di prendere che distingue l’apprendere? In senso rigoroso non possiamo apprendere una cosa, ad es. un’arma; possiamo apprendere soltanto l’uso della cosa […]. Soltanto se sappiamo in anticipo che cos’è un’arma, ciò che ci è posto innanzi agli occhi diviene per noi visibile per quello che è […]. Quando giungiamo a conoscerla veramente, in modo determinato, allora prendiamo conoscenza di qualcosa che propriamente già abbiamo. Proprio questo “prendere conoscenza” è la vera e propria essenza della μάθησις . I μαθήμαματα sono le cose in quanto noi ne prendiamo conoscenza, in quanto noi prendiamo conoscenza di ciò che delle cose stesse propriamente conosciamo in anticipo […]. La mathesis è ciò che invero già conosciamo “delle” cose, ciò che, conseguentemente, non prendiamo soltanto da loro, ma in certo modo rechiamo già in noi.

Possiamo ora comprendere perché il numero è qualcosa di “matematico”. Vediamo tre sedie e diciamo: sono tre. Che cosa sia il “tre” non ce lo dicono le tre sedie, e neppure tre mele o tre gatti o tre altre cose qualsiasi. Piuttosto noi possiamo contare tre cose, se già conosciamo il “tre”. Ciò di cui prendiamo conoscenza non lo ricaviamo da nessuna cosa. Noi prendiamo ciò che in qualche modo già abbiamo. Ed è appunto questo che così può essere appreso, che dev’essere concepito come “matematico”».

Martin Heidegger, La questione della cosa, Mimesis, Milano 2011, pp. 65, 67, 68, 69.

La matematica/μαθήμαματα è il sapere della comprensione(Platone), l’accordo della cosa con il pensiero (Kant).

Gravità

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«Se consideriamo più particolareggiatamente come sia forte la tendenza a staccarsi dalla superficie terrestre che […] deve possedere un proietto massiccio, di piombo o di bronzo, essendo animato da un movimento così rapido da attraversare circa quindici miglia nel minuto di un’ora; ci deve apparire che sia necessaria una potenza meravigliosa per curvarlo, regolarlo o rimandarlo indietro verso terra, e mantenercelo, nonostante la forte resistenza posta da questa prima legge del movimento che tenderebbe ad allontanarlo. Il che rende manifesta non solo l’ammirabile potenza d’Unità nell’indiscerpibilità nello Spirito della Natura, ma anche l’esistenza di un’esecuzione perentoria e perfino violenta di un Consiglio eterno ed onnicomprensivo, che tende ad ordinare ed a guidare nell’universo i movimenti della materia verso ciò che è meglio. E questo fenomeno della gravità comporta delle conseguenze così buone e necessarie, che, senza di lui, non vi potrebbero essere né la terra né i suoi abitanti, così come essi sono».

Henry MoreAntidoto contro l’ateismo, c. II, par. 1, p. 43, in Alexandre Koyré, Dal mondo chiuso all’universo infinito, Feltrinelli, Milano 1984, p. 106.

Marcello Stellato Palingenio

La terra e il mare contengono molti animali: e si deve credere vuoto il cielo? O menti vuote piuttosto voi, che credete questo!

Marcello Stellato PalingenioZodiacus Vitae, 1., XI, Aquarius, vv. 609-611, in Alexandre Koyré, Dal mondo chiuso all’universo infinito, Feltrinelli, Milano 1984, p. 27.

De docta ignorantia

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«Considerando il corpo del sole, esso avrà una certa terra (per così dire) più centrale, e alla circonferenza una certa luminosità; diciamo così, ignea, e nel mezzo una nube acquea ed un’aria più chiara, allo stesso modo che questa terra ha i suoi elementi. Ragion per cui, se qualcuno fosse al di là della zona ignea, la nostra terra gli apparirebbe, in grazia del fuoco nella regione della circonferenza, come una stella luminosa, allo stesso modo in cui a noi, che siamo fuori della circonferenza della regione del sole, questo appare splendidissimo […].

E’ dunque la terra una stella nobile: la quale ha luce, calore ed influsso, altri e diversi da tutte le altre stelle, così come ogni stella differisce da ogni altra per luce, natura ed influsso. E, come ogni stella comunica non intenzionalmente luce ed influsso ad un’altra, poiché tutte si muovono e brillano soltanto per essere nel modo migliore e la partecipazione ne è una conseguenza, così la luce brilla per sua natura, e non perché io la veda, ma la partecipazione avviene per conseguenza, mentre utilizzo la luce per vedere».

Nicola CusanoDe docta ignorantia, II, XII, p. 104, in Alexandre Koyré, Dal mondo chiuso all’universo infinito, Feltrinelli, Milano 1984, p. 23-24.

Competenze

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«Siamo soliti esprimere le nostre conoscenze, ma anche i nostri problemi e le nostre considerazioni, mediante proposizioni. Il fisico ed il giurista, lo storico ed il medico, il teologo ed il meteorologo, il biologo ed il filosofo, tutti parlano mediante proposizioni ed enunciati […]. Così avviene che comunemente non si scorga nessuna differenza, se non di contenuto, tra il discorrere di problemi biologici, quali la scissione della cellula, la crescita, la riproduzione, ed il trattare la biologia stessa, del suo orientamento di ricerca e del suo linguaggio. Si ritene che il parlare biologicamente degli oggetti della biologia si distingua solo dal punto di vista del contenuto dal discutere sulla biologia. Chi può fare la prima cosa, deve certo saper fare, lui medesimo, anche la seconda. Ma questa è un’illusione, perché non si può trattare la biologia biologicamente. La biologia non è come le alghe ed il museo, le rane e le salamandre, le cellule e gli organi. La biologia è una scienza. Non possiamo mettere sotto il microscopio la biologia, come mettiamo i suoi oggetti».

Martin Heidegger, La questione della cosa, Mimesis, Milano 2011, pp.155-156.