Mus est sillaba: il contesto è collassato. Prendiamoci cura della pragmatica

(Joachim Dobler/Flickr)

Viviamo in un mondo dove le logiche della razza, del colonialismo e del patriarcato non sono state superate, e questo è inammissibile. Per uscire da questo imbarazzo ci viene in aiuto la narrazione, che crea un piano della realtà distinto, più tollerabile della realtà reale. Essendo il linguaggio il filtro col quale facciamo esperienza del mondo, la narrazione del reale soddisfa il desiderio di epurare razzismo, colonialismo capitalista e patriarcato millenario dal vocabolario per creare una realtà ideale in cui queste cose non esistono. Grazie alle storie ci creiamo la realtà che auspichiamo, la viviamo, trascurando colpevolmente la realtà in cui veramente viviamo. Il linguaggio descrive il mondo ed è così potente che riesce ad essere la realtà, sdoganando la meschinità.

È il politically correct, il grumo dove il dogmatismo religioso complottista, il marxismo disperato dal fallimento e il fascismo legittimato dall’autoritarismo economico convergono e conflagrano. Il politically correct è una costruzione linguistica della realtà e si basa sullo strutturalismo linguistico, una delle più importanti invenzioni del Novecento dopo la bomba atomica: le parole costruiscono il mondo in cui viviamo, a prescindere dalla percezione che possiamo averne di esso. Questo perché il senso, il significato delle parole, ha una sua consistenza, è solido. Tramite il senso la lingua crea la percezione del mondo, corrompendo la felice intuizione dell’idealismo filosofico, che identificava la realtà con la razionalità, non con le parole: ciò che è reale è razionale, ciò che è razionale è reale. Il senso, quindi, può tranquillamente sostituirsi alla realtà senza che ce ne accorgiamo. Il parlante costruisce una realtà attorno all’ascoltatore. Quando parliamo allestiamo un teatro di posa. Perciò tendiamo ad essere manipolatori narcisi. Siamo tutti narcisisti patologici in un mondo del genere. I maschi lo sono di più perché sono quelli che comandano in una società patriarcale.

Svincolarsi da questa specie di narcisismo collettivo che crea un mondo magico costruito sulle parole è estremamente faticoso. La pubblicità sfrutta questo enorme potere della parola creando un nesso molto stretto tra parole, realtà e desiderio, incantandoci e riuscendo così a venderci qualsiasi cosa di cui non abbiamo bisogno. Se in questo periodo le pubblicità di youtube ci danno così fastidio è perché nella loro grossolana ripetitività e ridondanza, lontana dal livello di raffinatezza raggiunto su altri media, ci ricordano, decenni dopo gli spot televisivi e i banner sul web, quanto essa sia sfiancante con il suo turpiloquio infantile: eddai, e sentimi, e guardami, e comprami, e ascoltami, e guarda questo, e vedi quest’altro, e senti questo groove, e ascoltami, e guardami, eddai, e ja, e comprami, e guardami, guardami. Guardami. Guardami. Guardami. Guardami. Guardami. La libertà di esprimersi come un bambino in un mondo in cui siamo tutti piazzisti di noi stessi.

Non leggo mai i quotidiani di carta, né le pagine web dei quotidiani. Non seguo le boutade dei ministri, non mi appassiono più alle polemichette di governo. Forse sono depresso. Per me che sono un giornalista è un controsenso. Come un avvocato che non va in tribunale. In realtà le cose non stanno così. Mi devo piuttosto proteggere dagli strilloni. Mi rendo anche conto però di vivere così una specie di quiet quitting professionale, ma forse anche di compiere una specie di atto politico.

Dimitris Kamaras via Flickr

Cos’è che permette di vivere in un mondo così anestetizzato alla percezione del reale come non si vedeva dai tempi dell’aristotelismo medievale? Lasciamo che a rispondere a questa domanda siano proprio i logici medievali.

La scolastica concepiva quello che oggi chiamiamo comunicazione, e che loro chiamavano logica – il proferire discorso, l’asserire cose che hanno un senso – su tre dimensioni, tre elementi concatenati in un nodo gordiano: ne togli uno crolla tutto.

• c’è il senso delle singole parole, la semantica;
• il senso della frase costruita con le parole, la sua coerenza interna, la sintattica;
• e poi c’è il contesto in cui si parla, il chi, il come, il dove e il quando del proferire discorso, la pragmatica;

Mentre le prime due dimensioni del linguaggio – semantica e sintattica – sono facilmente intellegibili, la pragmatica è un po’ più sfuggente: è il linguaggio non verbale, il tono della voce, la reputazione di chi parla, soprattutto il luogo in cui si parla. Ma è anche il colore della cosa che parla e il luogo in cui sta parlando, perché anche le cose parlano: il sole rosso, basso sull’orizzonte, proferisce insindacabilmente il tramonto, o l’alba. La parola chiave è contesto. Facciamo un esempio.

«Vuoi fare l’amore con me?». C’è un’enorme differenza nel chiedere una cosa del genere a una persona con cui si sta chiacchierando in un locale con la musica a tutto volume o a una con cui si sta chiacchierando di detersivi a un supermercato, anche se comunque carina. La stessa frase in due contesti diversi ha due significati completamente diversi, pur avendo di per sé lo stesso significato, questo perché la pragmatica è come se legasse la sintattica e la semantica denotando il senso. Semantica, sintattica e pragmatica permettono il senso. Ne togli uno e traballa tutto.

Il contesto è il grande assente di questo primo quarto di XXI secolo. I sociologi lo sostengono da ben prima della Silicon Valley: il contesto è collassato. Insieme ai romanzi di Roald Dahl.

La pragmatica ha una peculiarità. Contrariamente alle altre due è l’unica delle tre che si può trascurare, omettere, senza sabotare la comprensione. Se dici “arzebi”, cioè se dici una parola che non ha senso, nessuno ti capisce: senza semantica il discorso è impossibile. Se dici “paracadute in catapulta ormeggia in cazzuola senza spirale”, usi parole sensate ma legate senza scopo. O ti chiami Maccio Capatonda, Fabio Celenza – quindi fai pura pragmatica senza sintattica e semantica – oppure anche in questo caso nessuno ti capirebbe: senza sintattica il discorso è impossibile. Se invece asserisci cose sensate costruendole correttamente ma senza contesto stai comunicando senza pragmatica e sei comunque pienamente comprensibile. La gente ti capisce lo stesso perché gli basterà fare uno sforzo di interpretazione: lì dove la pragmatica manca, la si inventa, mentre lo stesso non si può dire della sintattica e della semantica. L’archeologo ricostruisce un sito perché sa benissimo a cosa servono le cose che dissotterra, semplicemente gli manca il contesto in cui sono utilizzate, che può ricostruire. Il contrario è impossibile. È come se la pragmatica, una volta applicata correttamente la sintattica o la semantica, deve necessariamente piazzarsi. La pubblicità, la programmazione neurolinguistica, la messagistica istantanea, le pagine web, i titoli dei quotidiani, funzionano sfruttando questa proprietà magnetica della pragmatica. Discorsi senza giustificazione, discorsi camuffati da altri discorsi, manipolazioni, discorsi senza responsabilità, o anche più semplicemente un modo per avere ragione. Se parli senza dichiarare lo scopo per cui dici quello che dici, senza prendertene la responsabilità, non passerai per pazzo perché il senso è salvo.

È una tragedia di cui i logici medievali erano consapevoli. La chiamavano la tragedia di mus est sillaba, che significa il topo è una sillaba. Mus è un topo ma è anche una sillaba, cioè è una parola (mus) che sta a indicare il mammifero “topo”. Ma il topo è una sillaba? No, il topo è un mammifero. Però “topo” è anche una sillaba (to-po sarebbero due sillabe ma in latino la parola è con una sola sillaba, mus). Però nessun mammifero può essere una sillaba, niente che esiste è una sillaba. Le cose e le parole sono due oggetti distinti, i primi esistono, i secondi no. Mus est sillaba è una contraddizione che accade quando si proferisce senza contesto, senza pragmatica. Le parole sono delle dita, indicano. Se non si chiarisce ogni volta ciò di cui si parla, se quello di cui si parla viene lasciato a un’interpretazione arbitraria, la parola e la cosa diventano indistinguibili e ci si espone alla manipolazione.

La pragmatica, volente o nolente, da qualche parte bisogna piazzarla. Il problema è che mentre nella realtà il linguaggio non-verbale costruisce la pragmatica in autonomia (mentre tu sei lì a sforzarti di formulare frasi di senso compiuto la pragmatica lavora per te), nel web, su whatsapp, essendo invisibile il parlante, essendo ridotto a scrittura, quindi a sintattica, come un’antica lettera scritta a mano, la pragmatica va costruita volontariamente.

La vulnerabilità della pragmatica espone alla propaganda. Le nazioni di oggi sono anche governi del mondo, cioè devono governarsi rispettando parametri transnazionali come quelli stabiliti dai Paesi membri dell’Unione europea. In questo contesto che sia un partito di destra o di sinistra a governare è ininfluente, perché volente o nolente dovrà rispettare precise direttive internazionali se vuole i finanziamenti per costruire le strade. Cosa resta al partito di governo se il consenso non si può più raccogliere tramite l’esercizio di governo? La propaganda. Se è di destra farà dei decreti sicurezza e proteggerà il made in italy, se è di sinistra dei decreti sociali per la parità di genere. Tutto inutile di per sé ma fondamentale per il consenso.

La generazione di oggi è molto più brava a scrivere della precedente ma contrariamente al passato si fa capire molto male. Questo perché, contrariamente ai boomers cresciuti col cocco ammunnato della pragmatica data per scontata in un mondo in cui ci si socializzava dal vivo, noi al contrario questa pragmatica dobbiamo sforzarci di costruirla così come costruiamo la sintattica e la semantica. È una cosa inaudita, a pensarci: la pragmatica è il contesto, e il contesto è naturale, è il mondo nel quale parliamo, la realtà che ci circonda mentre chiacchieriamo: com’è possibile che anche questa cosa qui deve essere costruita?

La redistribuzione economica, la libertà, l’amore e tutte quelle istanze politiche alla base di una società giusta se vorranno essere messe in pratica dovranno misurarsi con questo enorme grado di manipolazione raggiunto dal linguaggio e dalla realtà. Dovremmo alfabetizzarci alla pragmatica, prendercene cura in un mondo costruito sulle narrazioni. Ignorare la vulnerabilità della pragmatica è pericoloso, espone alla manipolazione. Sfruttare la sua vulnerabilità è opportunista: senza contestualizzare quello che si dice siamo sempre liberi di fraintendere e interpretare, di essere d’accordo su tutto e di non essere d’accordo su tutto. Siamo liberi di odiare.

All’inizio di internet, quando google era un comodo motore di ricerca e si navigava sui siti digitandone l’indirizzo, l’identità del navigante era performativa, si interpretava qualcuno che non rispecchiava il nostro sé reale. La pragmatica, in questo caso, era data dal personaggio che si interpretava: eravamo persone che cercavano le previsioni del tempo o una conversazione su un forum. Poi è arrivato il capitalismo, i social network, e si è stabilito che la nostra identità digitale deve aderire perfettamente a quella reale. Il che, se da un lato è auspicabile per far funzionare per bene una società ad alta tecnologia, dall’altro ci espone alla pubblicità di qualsiasi cosa.

Dovremmo dissociarci da questo meccanismo, imparare a riconoscerlo, altrimenti continueremo a vivere in un mondo in cui chi ignora questa vulnerabilità della pragmatica abbraccerà le teorie del complotto in cerca di un terreno solido, così come una volta si andava in chiesa. Oppure, se al contrario è consapevole di questa vulnerabilità ma non vede accendersi una consapevolezza collettiva sulla cura della pragmatica, si rifugerà nelle nostalgie, nelle grandi narrazioni del Novecento che, anche nel loro aspetto più oscuro, sclerotico, autoritario e mortifero, mostravano perlomeno una passione per il reale.

Aristotele, Platone, Sacks e il misticismo scientifico

Iniezione di salvarsan (o arsfenamina) in un ospedale da campo per la malaria a Cividale, in Friuli

Iniezione di salvarsan (o arsfenamina) in un ospedale da campo per la malaria a Cividale, in Friuli

La nozione di «sostanze mistiche» sorge dalla reductio ad absurdum di due concezioni del mondo che, se applicate in modo legittimo, hanno grande eleganza e potenza: una è la concezione a mosaico, o topista, associata alle filosofie dell’empirismo e del positivismo; l’altra è una concezione olistica, o monistica. Esse derivano, rispettivamente, dalla metafisica di Aristotele e da quella di Platone. Usate con saggezza, e con una piena comprensione dei loro poteri e limiti, hanno offerto la base per scoperte fondamentali della fisiologia e della psicologia negli ultimi duecento anni.

Il misticismo nasce quando si prendono analogie per identità, quando si trasformano similitudini e metafore («è come se») in assoluti («è»), convertendo così un’epistemologia utile in «verità totale». Il topismo mistico sostiene che il mondo consiste in una moltitudine di punti, di luoghi, di particelle o di pezzi, senza alcuna relazione intrinseca tra l’uno e l’altro, ma «estrinsecamente» correlati da un «nesso causale»; lo sostiene in modo esclusivo e conclusivo: è «la verità». Data una simile concezione, si può immaginare la possibilità di influenzare un singolo punto o una singola particella, senza esercitare il minimo effetto su quelle circostanti: si dovrebbe, ad esempio, poter eliminare un punto con assoluta precisione e specificità. Il corollario terapeutico di questo misticismo è il concetto di un farmaco specifico perfetto, che ha esattamente l’effetto voluto escludendo la possibilità di qualsiasi altra conseguenza. Un esempio famoso di un tale supposto elisir è l’arsfenamina, studiata da Ehrlich per la cura della sifilide. Le dichiarazioni modeste e realistiche dello stesso Ehrlich furono subito distorte da desideri e tendenze assolutistiche, e l’arsfenamina fu presto definita «la pallottola magica». Questo dunque è il genere di medicina mistica, il cui primo scopo è la ricerca sempre nuova di «pallottole magiche».

L’olismo mistico, invece, asserisce che il mondo è una massa completamente uniforme e indifferenziata di «materia primigenia» o plasma. Di tale fisiologia mistico-olistica si trova un buon esempio in un detto attribuito a Flourens: «Il cervello è omogeneo come il fegato; il cervello secerne pensieri come il fegato secerne la bile». Corollario terapeutico di questo misticismo monista è il concetto di un farmaco per-tutti-gli-scopi, una panacea, un estratto quintessenziale di Materia Primigenia o di Materia Cerebrale, Bontà o Divinità imbottigliate in forma assolutamente pura, l’estasi portatile di De Quincey racchiusa in una bottiglietta rosa

Oliver Sacks, Risvegli, Adelphi, Milano 2014, nota 31 a pagina 48.

Il sonnambulo Copernico

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«Da Ruggero a Bacone nel XIII secolo fino a Pietro Ramo nel XVI c’erano state scuole e uomini eminenti per capire più o meno chiaramente che bisognava mettere da parte la fisica di Aristotele e l’astronomia di Tolomeo prima di poter pensare a una nuova partenza. È forse per questo che Regiomontano si costruì un osservatorio invece di edificare un sistema. Una volta completati i commenti su Tolomeo cominciati da Peuerbach si rese conto che bisogna rinnovare le basi dell’astronomia “sbarazzando la posterità dalle tradizioni antiche”. Per Copernico questa era una specie di bestemmia. Se Aristotele avesse dichiarato che Dio creò unicamente uccelli, il canonico Koppernigk avrebbe descritto l’homo sapiens come un uccello senza piume e senza ali che cova prima di deporre le uova».

Arthur KoestlerI sonnambuli, storia delle concezioni dell’universo, Jaca Book, Milano 2010, p. 212.

L’autista di Talete

L’autista di Talete

Passeggi con la testa nello smartphone e temi di sbattere contro un palo? Niente paura, l’autista di Talete ti guiderà a destinazione senza che tu debba alzare lo sguardo dallo schermo.

Il collettivo di artisti newyorkese Improve Everywhere – famoso alle cronache per aver fatto camminare all’indietro 2000 passanti a New York, congelato la Grand Central Station e aver fatto dire qualcosa di carino al megafono ai passanti – ha realizzato una delle loro più potenti performance. Fingendosi volontari, hanno assistito i tantissimi pedoni newyorkesi che passeggiano a testa bassa con la testa nel telefonino. Indossando una pettorina catarifrangente con su scritto seeing eye person, invitavano i distratti passanti ad attaccarsi ad un guinzaglio e a farsi guidare da un isolato all’altro, così da “aiutarli a messaggiare e a camminare in sicurezza”. Le ignare vittime non avrebbero dovuto far altro che continuare a fare quello che stavano facendo – scrivere un sms, controllare l’email – tanto c’erano i seeing che vedevano per loro dove mettere i piedi. Il risultato è esilarante.

Mi fa venire in mente l’aneddoto di Platone sulla servetta trace, quella in cui il primo filosofo della storia, il greco Talete, intento com’era a guardare le stelle o a ragionare su problemi metafisici, cadde in un pozzo. Una “graziosa e intelligente” serva trace che passava di lì, avendo assistito alla scena, prese in giro il filosofo osservando come egli, occupato com’era a conoscere le cose in cielo, non vedeva quello che gli stava davanti.

E’ come se con la loro performance gli artisti newyorkesi avessero voluto scongiurare il rischio per Talete di cadere nel pozzo, prendendolo per mano, anzi, ancora meglio, attaccandolo a un guinzaglio, così da farlo continuare a riflettere sui perché del mondo senza correre alcun pericolo. Questi autisti di Talete sono la stessa servetta di Mileto, con la differenza che decidono di intervenire prima del disastro. Certo, chi messaggia camminando per strada difficilmente si starà occupando di problemi filosofici, ma in entrambi i casi va incontro agli stessi pericoli, anche se morire cadendo in un pozzo mentre si osserva il moto degli astri è sicuramente più onorevole che essere investito da un’auto mentre si guarda un lolcat (giudizio inversamente proporzionale allo stato in cui versa la filosofia oggi).

talete

Ciò che mostrano la storiella di Platone e il collettivo artistico statunitense è che è difficile mantenere nello stesso momento entrambi i comportamenti, quello “intellettuale” e quello “manuale”: o si pensa o si agisce. Ma questo non vuol dire, checché ne dica Cartesio o il principio della catena di montaggio, che questi due atteggiamenti non facciano fondamentalmente lo stesso lavoro, solo che lo fanno in modo diverso. Su questo ci viene in aiuto un’altra storiella, questa volta tramandataci dal discepolo di Platone, Aristotele. E’ l’aneddoto dei frantoi, che ha come protagonista sempre Talete. Il filosofo di Mileto veniva criticato per lo stato di povertà in cui versava, dovuto secondo i compaesani proprio alla sua attività filosofica che non gli permetteva di guadagnare a sufficienza. Era tremendamente vero, come lo è tremendamente vero tuttora, ma Talete ne era infastidito, vedendo dietro un giudizio generico su uno stato dei fatti un’opinione morale sull’attività filosofica in sé (e anche questo, dopo quasi tremila anni, è un pregiudizio validissimo). Così, tediato da quella che era a tutti gli effetti un’accusa di fannullaggine, Talete decise di mostrare il risvolto pratico della sua attività teoretica. Sulla base di alcune osservazioni astronomiche, predisse un’abbondante raccolta di olive. Acquistò a poco prezzo, poiché fuori stagione e in uno stato di semi abbandono, tutti i frantoi di Mileto. La previsione si rivelò esatta e così, pieno di olive e con tutti i terreni della città di sua proprietà, stabilì un regime di monopolio. Il filosofo che sosteneva che l’acqua fosse il fondamento di tutte le cose dimostrò così quello che millenni dopo ha incontestabilmente fatto la scienza: studiare serve a qualcosa. E’ il paradigma scientifico che noi moderni conosciamo molto bene, tanto da averlo sovvertito: è l’osservazione diretta delle cose che ci fa “scoprire” la teoria che le spiega, basta guardare il bombolone sulla testa di Newton. 

Gli autisti di Talete di Improve Everywhere scongiurano così il rischio di cadere nel pozzo. Ma il risvolto è ironico, visto che quando siamo assorti nel nostro smartphone difficilmente ci staremmo occupando di problemi filosofici, ma neanche staremmo impastando il pane, piuttosto siamo intenti a guardare in street view la strada su cui stiamo camminando.

L’utero di Aristotele (che fare?)

 

Universo aristotele testa

La verità è che è tutta colpa di Colombo e Newton. Si stava così bene prima! Il mondo era piatto e aveva confini con le barche che incontravano il Purgatorio appena fuori lo Stretto di Gibilterra e l’universo era chiuso in sfere concentriche con Dio che amministrava il tutto da buon burocrate. Poi è arrivato quell’italo-spagnolo con una sindrome ossessivo compulsiva per la navigazione. Ha aperto un nuovo spazio, ben invaso e occupato poi dagli Europei: “La terra è tonda e non ha confini – hanno dichiarato uno dopo l’altro spagnoli, inglesi, portoghesi e francesi – ma sicuramente quel poco di spazio in più che è stato scoperto è nostro”. Infine è arrivato un inglese che con l’epifanica storia della mela ha rivoluzionato il modo di pensare e conoscere l’universo. Così il mondo è deflagrato diventando puro caos, e il soggetto che viveva tranquillo e sereno nell’utero aristotelico è stato obbligato a uscire. Niente di preoccupante comunque per l’uomo, niente che minacciasse la sua esistenza, piuttosto la sua salute mentale. La cura è consistita nel fare (inconsciamente) finta di (consciamente) credere che l’universo sia retto da leggi, assiomi, regole e postille. Funziona alla grande. Se non ci credete recatevi a Konigsberg, via del Soggetto Trascendentale 2, citofonare Kant.

La cosa che ti frega in tutto questo è che non si torna indietro, fare come Edipo non serve a nulla: fottersi Aristotele non risolve alcunché, ti ritroveresti con un pugno di occhi in mano. Il trauma è fatto e, per dirla alla Mallarmé, il dado è tratto. La domanda giusta non è “che fare?”. Chiederselo è importante, ma serve soltanto per rendersi conto che ciò che si fa adesso non ci piace, per esempio sponsorizzare il vivere senza idee, da deietti, vendendo democrazia globalizzata eco-sostenibile così come una volta si esportava Progresso, Fede e Civiltà verso i popoli del Nuovo Mondo. Il cinismo non è figlio di un sano pensiero moderno ma di una patologica ossessione per il Profitto. E’ la domanda che non deve esistere, questa è la verità.