Come definire gli ultimi vent’anni del secolo, se non come la seconda Restaurazione? Constatiamo, in ogni caso, che questi anni sono ossessionati dal numero. Dato che una restaurazione altro non è se non il momento della Storia che dichiara impossibili e abominevoli le rivoluzioni, nonché naturale quanto eccellente la superiorità dei ricchi, è comprensibile che essa adori il numero, che è anzitutto numero degli scudi, dei dollari o degli euro […]. Ma, in senso più profondo, ogni restaurazione ha orrore del pensiero e non ama che le opinioni, in particolare l’opinione dominante, riassunta una volta per tutte nell’imperativo di Guizot: “Arricchitevi!”. Il reale, correlato obbligato del pensiero, viene (non senza buone ragioni) considerato dagli ideologi delle restaurazioni come qualcosa di sempre pronto a sfociare nell’iconoclastia politica, quindi nel Terrore. Una restaurazione è innanzitutto un’asserzione circa il reale, nel senso che è preferibile non averci nulla a che fare.
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Gli inesistenti
In un mondo strutturato dallo sfruttamento e dall’oppressione, vi sono masse di persone che, propriamente parlando, non possiedono alcuna esistenza. Non contano nulla. Nel mondo di oggi, per esempio, non è praticamente africano che conti qualcosa. Diciamo che queste persone sono presenti nel mondo ma assenti dal suo senso e dalle decisioni sul suo avvenire. Diciamo che sono l’inesistente del mondo. Soltanto un’oligarchia lontana ma onnipresente riesce a collegare la successione degli episodi di vita delle persone al parametro unificato del profitto, e a nutrirsi di questo.
E diremo allora che un cambiamento del mondo è reale quando un inesistente del mondo comincia a esistere in questo stesso mondo con un’intensità massima. E’ esattamente quello che dicono ora le persone che stanno scendendo in piazza in Egitto. E’ la liberazione dell’esistenza: i poveri non sono diventati ricchi, in fondo non è cambiato niente. Quello che è successo invece è che l’esistenza dell’inesistente è stata liberata grazie a quello che io chiamo un evento, che in se stesso è quasi sempre inafferrabile. Che cosa osserviamo oggettivamente? Nel giro di pochi anni una piazza del Cairo si conquista una celebrità planetaria. La cosa veramente straordinaria è che la potenza di questo fenomeno è tale da far inchinare tutto il mondo, persino i suoi nemici più accaniti e nascosti.
I rivoltosi radunati in una piazza del Cairo sono dunque il “popolo egiziano”? Ma, in tutta questa faccenda, che fine fa il dogma democratico, il sacrosanto suffragio universale? Non è pericoloso? Tutto sommato, fossero anche un milione, non sono ancora tanti rispetto agli ottanta milioni di egiziani. In termini di cifre elettorali, è un fiasco garantito! Ma questo stesso milione di persone presenti sul posto vale tantissimo se cominciamo a non misurare più l’impatto politico dal numero inerte e separato, come si fa con i voti. La sua forza risiede nell’intensificazione dell’energia soggettiva (le persone si sentono indispensabili giorno e notte, tutto è entusiasmo e passione) e nella localizzazione spaziale della propria presenza (le persone si radunano in luoghi diventati imprevedibili, piazze, università, viali, fabbriche…). E’ la prova che nel caso di queste configurazioni – le rivolte storiche che aprono a possibilità nuove – è presente un elemento di universalità prescrittiva.
Sovrappiù
L’arte commuove negli interstizi, nei particolari. In quel riff, quel sorriso, in quell’altezza di quella nota al momento e nell’intervallo giusto, nei colori della fotografia di scena. I’m Only Sleeping dei Beatles per esempio non commuove nella sua totalità ma in quel “sleeeeeeeeeeeping” del ritornello, nell’attesa che quel coro, con quel tono, arrivi e dica: “sleeeeeeeeeping”. Non è la Storia a commuovere, ma raccontare ciò che accade. I greci lo chiamavano stupore (taumazein), gli esteti sublime. La parola che userebbero i matematici è ancora più esplicita: sovrappiù. L’elemento costitutivo che eccede ogni struttura, ogni previsione. Per Alain Badiou esso è addirittura il valore proprio della verità, e lo chiama Evento. Qualcosa che sorprende, spiazza, sovrasta ma che nello stesso tempo è tremendamente sopportabile, anzi, meravigliosamente sopportabile.
