Edward Snowden, la legge, il corpo e la lezione dei Wilco

Edward Snowden

Edward Snowden intervistato dal Guardian nel giugno del 2015

«Le persone che sostengono di non essere interessate alla privacy, perché non hanno niente da nascondere, non capiscono qual è la reale posta in gioco. È come se dicessero che non gli interessa la difesa di un loro diritto. Dire “non mi interessa della privacy perché non ho nulla da nascondere” è come dire “non mi interessa della libertà di espressione perché non ho niente da dire, né della libertà di stampa perché non ho niente da scrivere”.

Assistiamo a una tendenza preoccupante nelle democrazie più avanzate. I governi cercano di restringere sempre di più i limiti dei nostri diritti. Dopo le elezioni, il primo ministro britannico David Cameron ha pronunciato un discorso in cui insinuava che rispettare la legge non rende automaticamente esenti dall’interferenza del governo nella vita privata. Questo approccio è molto distante dall’impostazione tradizionale delle società liberali. La legge stabilisce i limiti di ciò che è consentito. Andare oltre questo concetto e sostenere che il governo non deve solo decidere ciò che è legale o meno, ma anche ciò che è appropriato, ragionevole o eccessivamente ardito, significa concedere alle autorità un potere che non ha precedenti nel mondo in cui siamo cresciuti. A questo punto dobbiamo chiederci se vogliamo che i nostri figli vivano in un mondo meno libero di quello che abbiamo ereditato.

Uno degli aspetti più tragici della restrizione dei nostri diritti, è che questi programmi non aiutano a combattere il terrorismo. Negli Stati Uniti due commissioni indipendenti hanno esaminato i programmi di sorveglianza analizzando informazioni segrete, e hanno stabilito che in nessuno caso la sorveglianza di massa ha dato un contributo rilevante nelle indagini contro il terrorismo. Sappiamo chi sono i responsabili di tutti gli attacchi, dal Canada all’Australia. La verità è che i governi erano a conoscenza della loro esistenza anche prima degli attacchi. Il problema non è che non sorvegliano abbastanza, ma che sorvegliano troppo, al punto da non capire cosa avevamo per le mani. Quando collezioni troppe informazioni e monitori tutto, poi non riesci a capire. E questo deve cambiare.

Ho già detto un paio di volte che una delle differenze più rilevanti tra la mia vita di oggi e quella prima del 2013, è che oggi lavoro molto più duramente rispetto al passato. Dormo meno e mi alzo prima la mattina, ma nonostante ciò mi sento molto soddisfatto del mio contributo. Avere la possibilità di aiutare, di fare qualcosa, di sentirsi parte di qualcosa di importante dopo essersi lasciati alle spalle la propria vita è qualcosa di gratificante.
Quando penso al futuro sento che c’è ancora molto da fare. Il mio lavoro non è concluso. Anzi, direi che è appena cominciato. Sì, abbiamo realizzato qualcosa, tutti noi che vorremmo cambiare le leggi e le politiche sbagliate. Qui non si tratta di far dimettere qualcuno perché ha sbagliato. Sono i sistemi a essere sbagliati. La nostra missione è migliorare i nostri meccanismi. Non solo adesso, ma sempre. Sarà un percorso lungo. Non dobbiamo cambiare solo le leggi, e i sistemi, dobbiamo cambiare i valori. Dobbiamo cambiare il mondo, non solo il nostro paese. Anche ipotizzando che ci sia una sorta di nuovo illuminismo, per esempio nel Regno Unito, in cui i politici approvano riforme per proteggere i nostri diritti e garantiscono il funzionamento democratico della società, una società in cui l’individuo possa fare affidamento sulla protezione della sua privacy, anche in questo caso, appena le comunicazioni superano i confini nazionali, possono essere rubate da tutti gli stati del mondo. Dobbiamo fare in modo che questi diritti siano garantiti non solo dalla legge, ma anche dagli standard tecnologici che si applicano anche fuori dai confini nazionali».

Estratti dell’intervista del Guardian ad Edward Snowden. (Li ho presi da Internazionale, qui, qui e qui)

Fill up your mind with all it can know, don’t forget that your body will let it all go

L’umanista illuminista  Snowden coagula in queste riflessioni la logica bio-logica della politica moderna.

1. Le leggi non intervengono più soltanto quando è in gioco la violazione di esse, ma si muovono prima, quando c’è il rischio che vengano violate. La legge, oggi, decide anche dei comportamenti “appropriati” (il velo), “ragionevoli” (togliersi le scarpe in aeroporto) o “eccessivamente arditi” (avvicinarsi liberamente a una sede istituzionale). Un uso siffatto della legalità restringe lo spazio del lecito, assottiglia il confine tra legale e illegale, rende sempre più difficile distinguere cosa è permesso e cosa no. Tutto è potenzialmente illecito, perché la legge può intervenire, giudicare e sanzionare in ogni aspetto della tua vita.

Si dice che ci si accorge della corporeità delle cose quando queste sono difettose o manchevoli. Ci si accorge della materialità del proprio braccio quando ce lo tagliano. Delle funzioni, completamente inconsce e autonome, del proprio corpo quando queste iniziano a perdere colpi, come quando invecchi. E il corpo dei vecchi non ci piace. Non ci piace ricordare, abbiamo paura di ricordare, vogliamo solo archiviare, immagazzinare, come quando registri un film promettendoti di riguardarlo mentre non lo farai mai. Ricordare è un’altra cosa. Ci fai i conti con quello che ricordi. È un processo di digestione e selezione.

2. Lo zombie è la metafora della sparizione dell’oblio. «Quando collezioni troppe informazioni e monitori tutto, poi non riesci a capire». La società di oggi somiglia sempre più a un morto vivente, a una gigantesca coazione a ripetere. Basta farsi un giro in aeroporto. Oggi si vuole ricordare tutto, con la conseguenza che si scordano un sacco di cose, come quando studi e non ti riposi un attimo. L’esame verrà una merda. L’oblio è fondamentale per ricordare. Fill up your mind with all it can know, don’t forget that your body will let it all go, cantano i Wilco in Wishful thinking. Nutriti, abboffati, scassati, ma poi lascia che il corpo metabolizzi per te. Come una bella cacata: ti metti per caso a selezionare cosa far uscire dall’ano? No, perché ti fidi del tuo corpo e lo lasci fare.

La società, oggi, non si fida più di nessuno, soprattutto dei corpi. È una checca isterica stitica. La straordinaria lezione di Snowden è che il controllo, per definizione, è defettibile.

Ho sparato per sbaglio: quis custodiet ipsos custodes?

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Vorrei tanto leggere qualcosa che metta a confronto i fattacci di Ferguson con Rione Traiano. Scovarci le differenze sostanziali e i punti in comune.

Una differenza sostanziale forse non c’è, perché se nella cittadella americana abbiamo a che fare con “negri”, nel quartiere napoletano abbiamo a che fare con “tamarri” e “malamenti”. Se lì è razzismo, qui è classismo.

Forse la differenza sostanziale tra Ferguson e Rione Traiano (nomino il quartiere e non la città perché così non rischio di evocare la retorica della “Napoli violenta”) risiede nella differente sicurezza di sé delle due istituzioni. Un poliziotto degli Stati Uniti mai si sognerebbe di affermare che un colpo diretto nel petto di una persona disarmata sia “partito per sbaglio”: oltre ad essere una palese bugia, non farebbe certamente onore a colui che lo afferma. Sarebbe come se un corridore facesse una buona gara “per sbaglio”. Un poliziotto statunitense, più repressivo e orgoglioso di uno italiano per temperanza e storia nazionale, troverebbe assurdo sostenere di non aver avuto il controllo della propria arma. Un americano che sentisse ammettere da un poliziotto connazionale di aver sparato per sbaglio sarebbe come un italiano che sentisse da un connazionale ammettere di aver cucinato un’ottima pasta “senza farlo apposta”. Il poliziotto americano ha la lungimiranza di dire, con disonestà, che “è stata legittima difesa”, tanto sa che la sua “Arma” lo difenderà sempre.
Un italiano invece la stupidità di non ammetterlo, pur sapendo che in ogni caso la farebbe franca. Perché l’Arma, il corpo della Polizia, lo stato di polizia in generale in tutte le parti del mondo sono insieme dentro e nello stesso tempo al di fuori della legge. Perché? Perché a differenza del cittadino comune, che poliziotto non è, il poliziotto la legge deve farla rispettare.

Qui in Italia, tra i vari Aldrovandi e Cucchi, a differenza degli Stati Uniti c’è l’esautorazione del gesto: non volevo sparare. Quasi come se una pistola di quasi un chilo di peso sparasse da sola. Negli Stati Uniti c’è la virile responsabilità dell’azione, a sua volta vilmente giustificata (“ero in pericolo di vita”).

Questi avvenimenti, accaduti in contesti differenti tra loro, che sia un “negro” o un “tamarro-malamente” a rimetterci le cuoia, rivelano l’elemento fondamentale in comune, il fattore che rivela come un lampo la vera natura dello stato di polizia: sarà sempre al di sopra della legge, per cui se reagisce eccessivamente, commettendo un omicidio non necessario, può scegliere se perseguirsi oppure no, e state sicuri che sceglierà sempre, per puro istinto di conservazione, di non perseguirsi. Quando la polizia, il carabiniere, commettono un omicidio “per sbaglio” si pongono di fronte a un dilemma non da poco: mi auto-perseguo, applicando su di me la legge che applico sugli altri ma minando la mia stessa funzione (come applicare la legge se chi la applica commette illeciti come l’omicidio?), oppure mi auto-escludo dal giudizio legislativo a costo di perdere credibilità ma mantenendo la legittimità del mio mestiere?

È questo il dilemma a cui si sottopone ogni polizia del mondo quando commette una cazzata. È questo il motivo per cui è così vile quando si tratta di essere giudicata: in quanto polizia, non può fare altrimenti. I fascistelli dell’ultima o della prima ora che sono dalla parte del poliziotto in ogni fatto di questo tipo seguono coscientemente o no questa logica.
Tra legittimità e credibilità, la polizia di tutto il mondo deve sempre scegliere la prima se vuole continuare ad esercitare la sua funzione. 

Da qui la domanda capitale, a cui ancora non c’è una risposta: quis custodiet ipsos custodes? si domandava Giovenale. Who watch the Watchmen? ha ripetuto più recentemente Alan Moore.

La reazione esagerata del carabiniere è una vecchia questione, secolare, legata alla natura stessa dello stato di polizia: la polizia o il carabiniere è una figura morale in bilico. Protegge e castra, sorveglia e sopprime, salva e uccide. Esattamente come la legge.

Isola felice

Da napoletano ho un rapporto strano con l’autorità. Ogni volta che ho di fronte a me un uomo in divisa provo un sentimento di profondo rispetto. Mi riferisco al singolo uomo, quello con cui puoi parlare, con cui puoi stare in un contesto che non è quello, per esempio, di una manifestazione o di un posto di blocco. 

Stasera ero a una cena di lavoro. Seduto affianco a me c’era un uomo della capitaneria di porto. Sarà che aveva la mia stessa età, che la divisa del marinaio è bella, ma anche lì quel sentimento ha fatto capolino. All’inizio ho pensato: “Irrazionale, tutto questo non ha senso”. Poi ci ho pensato e una spiegazione me la sono data.

Il rispetto non è per la divisa, l’Arma. Questo sì che sarebbe irrazionale. Che cosa astratta! Il rispetto è per l’uomo, per la scelta che ha fatto: quella di sottostare a delle regole. Credo sia questo a generare in me questo sentimento. Napoli è una città decadente. Non date retta a chi dice che è una città anarchica, senza legge. Quando avete di fronte una persona che afferma queste cose chiedetegli di dov’è: se non vive a Napoli è giustificata, se vive qui purtroppo è un superficiale. Napoli è una città piena di regole. C’è la regola per parcheggiare il motorino, quella per guidare. C’è la legge della strada, quella del condominio. La regola per fare la spesa, per ritirare dal bancomat. Il problema non è l’assenza di regole, ma il disinteresse totale per quelle astratte, spersonificate, che non hanno autore, che vanno seguite indipendentemente da chi le stabilisce, che vanno seguite in se stesse, in quanto regole. Ebbene, la visione di un’uomo che ha scelto la divisa per mille motivi che non conoscerò mai, e che non sa neanche lui, è un’isola felice.

«[…] La stessa legislazione […] deve appunto perciò avere una dignità […] per la quale solo la parola r i s p e t t o fornisce l’espressione appropriata alla stima che un essere razionale deve avere verso di essa».

Non lo dice Saviano, non l’ha detto un uomo di destra. In realtà è come se non lo avesse detto nessuno perché tutti dovrebbero credervi. Ma in realtà l’ha detto:

Immanuel Kant, Fondazione della Metafisica dei Costumi, sezione seconda: passaggio dalla filosofia morale popolare alla metafisica dei costumi.

Erano tempi in cui ci si entusiasmava se qualcuno faceva la rivoluzione, anche a migliaia di chilometri di distanza.