La filosofia della psicoanalisi di Lacan

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Provo a fare un esperimento. Una condensazione filosofica di un testo di Lacan. Si tratta del testo “componibile” per antonomasia, L’istanza della lettera dell’inconscio o la ragione dopo Freud. Un testo che è già stato fatto a pezzetti, composto, decomposto, ricostruito e decostruito.
Lo citerò come se sottolineassi, saltando le subordinate, le pause, le parentesi e le esitazioni che rendono la lettura di questo testo la faticosa lettura di un discorso scritto.
Citerò il testo di un autore che non è un filosofo.
Citerò tre pagine de L’istanza, verso la fine, dove Lacan parla del soggetto moderno e dell’importanza della scoperta dell’inconscio. Quelle dove Lacan butta in mezzo Cartesio. Qui sembra in atto lo strapazzamento del soggetto cartesiano ad opera di Freud, ma in realtà non si smette di parlare di psicoanalisi.

Cercherò di citare un Lacan condensato, per dargli un senso “filosofico”. Citerò correttamente il testo, e in un solo caso invertirò le subordinate, verso la fine, nelle due asserzioni in corsivo.

Tutto questo, sostanzialmente, per citare male Lacan. Quindi, per citarlo come si deve.

Proviamo.

Je pense, donc je suis (Cogito ergo sum) non è solo la formula in cui si costituisce, con l’apologeo storico di una riflessione sulle condizioni della scienza, il legame con la trasparenza del soggetto trascendentale della sua affermazione esistenziale.
Forse io non sono che oggetto e meccanismo, e dunque nulla più che un fenomeno, ma sicuramente in quanto io lo penso, io sono, assolutamente. Senza dubbio i filosofi vi hanno apportato importanti correzioni, e in particolare che in ciò che pensa (cogitans), io non faccio mai altro che costituirmi come oggetto (cogitatum). Resta che attraverso questa estrema depurazione del soggetto trascendentale, il mio legame esistenziale col suo progetto sembra irrefutabile, almeno nella forma della sua attualità, e che:

«cogito ergo sum» ubi cogito, ubi sum

Beninteso, ciò mi limita a non esserci, nel mio essere, che nella misura in cui penso che sono nel mio pensiero; in quale misura io lo pensi veramente, non riguarda che me, e, se lo dico, non interessa a nessuno.
Tuttavia, eluderlo col pretesto delle sue sembianze filosofiche, è semplicemente dar prova di inibizione. Perché la nozione di soggetto è indispensabile al maneggiamento di una scienza, i cui calcoli escludono ogni «soggettivismo».
È proibirsi l’accesso a quel che si può chiamare l’universo di Freud. Come si dice: l’universo di Copernico. Infatti è proprio alla rivoluzione cosiddetta copernicana che Freud stesso paragonava la sua scoperta, sottolineando che una volta di più ne andava del posto che l’uomo si assegna al centro di un universo. E il posto che occupo come soggetto del significante è, in rapporto a quello che occupo come soggetto del significato, concentrico o eccentrico? Ecco il problema.
Non si tratta di sapere se parlo di me in modo conforme a ciò che sono, ma se, quando ne parlo, sono lo stesso che colui di cui parla. Il cogito filosofico è nel punto focale di quel miraggio che rende l’uomo moderno così certo di essere sé nelle incertezze su se stesso, o attraverso la diffidenza che da tempo ha potuto imparare a praticare nei confronti delle insidie dell’amor proprio.
Se, rivolgendo contro la nostalgia che essa serve l’arma della metonimia, mi rifiuto di cercare un senso aldilà della tautologia, e se mi decido a non esser altro che ciò che sono, come staccarmi dall’evidenza che sono in questo stesso atto?
Come pure, se mi sposto all’altro polo, metaforico, della ricerca significante, e mi voto a diventare ciò che sono, a venire all’essere, non posso dubitare che anche se mi ci perdo ci sono.
Ora, è proprio su questi punti che si ha la svolta della conversione freudiana. Questo gioco significante della metonimia e della metafora, che incardina il mio desiderio su un rifiuto del significante o su una mancanza dell’essere, si gioca là dove non sono perché non mi ci posso situare.
Sono bastate queste poche parole per lasciar interdetti per un istante i miei uditori: penso dove non sono, dunque sono dove non penso. Parole che all’orecchio teso rendono sensibile con quale ambiguità da furetto sfugga alla nostra presa l’anello del senso sulla funicella verbale.

Ciò che si deve dire è: là dove sono il trastullo del mio pensiero, non sono; là dove non penso di pensare, penso ciò che sono.

La verità non si evoca che nella dimensione di alibi grazie a cui ogni «realismo» nella creazione trae la propria virtù dalla metonimia, e che il senso non offre altro accesso che il duplice gomito della metafora. Il significante e il significato saussuriano non sono sullo stesso piano, e l’uomo s’ingannava a credersi situato nel loro comune asse che non è da nessuna parte.
Questo, almeno, finché Freud non ne ha fatto la scoperta. Giacché se ciò che Freud ha scoperto non è questo, non ha scoperto nulla.

Jacques LacanL’istanza della lettera nell’inconscio o la ragione dopo Freud, in J. Lacan, Scritti, Einaudi, Torino 2002, pp. 511-513.

Rebus

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«Mi trovo davanti un indovinello figurato (rebus): una casa sul cui tetto si vede una barca, poi una singola lettera, poi una figura che corre e alla quale è stata cancellata la testa con un apostrofo ecc. Ora potrei erroneamente obiettare che questa composizione e i suoi elementi sono assurdi. Il posto di una barca non è il tetto di una casa e una persona senza testa non può correre; la persona inoltre è più alta della casa e, se il tutto deve raffigurare un paesaggio, le singole lettere, che certo non si trovano in natura, non vi si integrano. La corretta valutazione del rebus si ha evidentemente solo se non sollevo alcuna di queste obiezioni contro l’insieme o i particolari, e mi sforzo invece di sostituire ogni immagine con una sillaba o una parola, che in base a una qualunque relazione possa essere raffigurata da un’immagine. Le parole che così si compongono non sono più senza senso, ma possono creare la più bella e significativa frase poetica. Il sogno è dunque un indovinello figurato di questo tipo e i nostri predecessori nel campo dell’interpretazione dei sogni hanno commesso l’errore di giudicare il rebus come una composizione figurativa. Come tale esso è apparso loro assurdo e privo di valore».

Sigmund Freud, L’interpretazione dei sogni, Einaudi, Torino 2012, pp. 256-257.

Nella foto, il dipinto di Joseph Sutter (1781-1866) Il sogno di Giacobbe.

Traumdeutung

«Scherner ritiene persino che la fantasia onirica possieda un’immagine preferita per raffigurare l’intero organismo: l’immagine della casa. […] Lunghissime strade fiancheggiate da case per indicare lo stimolo intestinale. […] Nel sogno provocato dal mal di testa, il soffitto di una stanza (che il sognatore vede ricoperto da ripugnanti ragni simili a rospi) rappresenta la testa.
“Così il polmone che respira trova il suo simbolo nella stufa infuocata che mugghia come il vento, il cuore in casse e ceste vuote, la vescica in oggetti rotondi, a forma di sacco o semplicemente cavi. Il sogno provocato nell’uomo dagli stimoli sessuali lascia che il sognatore trovi per strada la parte superiore di un clarinetto, poi la stessa parte di una pipa, e ancora una pelliccia. Clarinetto e pipa raffigurano approssimativamente la forma del membro maschile, la pelliccia i peli del pube. Nel sogno sessuale femminile lo spazio stretto fra le cosce unite può essere simboleggiato da un cortile angusto, circondato da case, la vagina da un sentiero molto stretto e sdrucciolevole che attraversa il cortile e che la sognatrice deve percorrere per portare una lettera a un signore”».

Johannes Immanuel Volkelt, Die Traum-Phantasie, Stuttgard, citato in Sigmung Freud, L’interpretazione dei sogni, Einaudi, Torino 2012, p. 90.

Se nella interpretazione dei Suoi sogni incontra difficoltà così notevoli, e dunque dentro di Lei si sono sollevate resistenze così forti contro una serie di stimoli che si sono prodotti nella Sua psiche, istruirLa nell’interpretazione dei Suoi sogni equivale a farLe imboccare la strada dell’autoanalisi. Ma, una volta che abbia avuto inizio, l’autoanalisi non cessa subito, e forse Ella è occupato da lavori che non tollerano turbamenti e interruzioni. Se è in grado di superare questi pericoli e di perdonarmi l’indiscrezione, con cui dovrò frugare e investigare dentro di Lei, se può tollerare gli effetti penosi che forse dovrò risvegliare in Lei: insomma se intende rivolgere contro la Sua stessa intimità l’amore implacabile della verità proprio del filosofo, sarò ben lieto di fare, per Lei, la parte dell’«Altro» in questo lavoro.

La risposta di Sigmund Freud a Heinrich Gomperz che, un mese dopo l’uscita de L’interpretazione dei sogni, scrive a Freud per dirgli che non riesce a interpretare i propri sogni seguendo il metodo del libro. In Sigmund Freud, Lettere alla fidanzata e ad altri corrispondenti 1873-1939, Bollati Boringhieri, Torino 1990, p. 203.

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In una straordinaria sintesi con pochi punti e molte virgole, Freud condensa la psicoanalisi in queste poche parole, in un momento [1899] in cui la psicoanalisi ancora non esisteva.

1. La psicoanalisi è una certa pratica filosofica: «l’amore implacabile della verità».
2. Il suo metodo è un’autoanalisi che sconvolge l’esistenza, risvegliando «effetti penosi». Insomma non è una spa. Se si è occupati da «lavori che non tollerano turbamenti e interruzioni» meglio lasciar perdere.
3. Infine l’analista non c’entra niente con tutto ciò, occupando «la parte dell’Altro in questo lavoro».

Salto di qualità

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«L’oggetto di consumo, nella sua versione moderna, è il feticcio […]. Era il capitalismo, dove valeva la previsione del presidente Hoover nei confronti di Edward Bernays, astuto fondatore dei primi sistemi di marketing e di risorse umane, e nipotino di Freud: “Voi avete trasformato le persone in instancabili macchine della felicità” (constantly moving happiness machine). Quel tempo è ormai alle nostre spalle.

[…]

L’oggetto di consumo, oggi, è diventato un gadget. Intercetta più il nostro godimento che il nostro desiderio […]. In fondo il capitalismo non ci dice più come e cosa dobbiamo pensare o desiderare. Non scrive il fantasma. O almeno non soltanto. La scommessa oggi riguarda i corpi e il loro godimento. L’oggetto gadget non evoca, non illude, non innesca la temporalità propria del desiderio e del fantasma: l’attesa, la speranza, la ricerca, l’aspirazione, l’identificazione immaginaria…L’oggetto gadget inchioda il consumatore al suo godimento autistico: tu sei questo. Non si tratta più di ciò che l’oggetto ti farà diventare, ma qualcosa di molto più forte e singolare. In questo, infatti, il capitalismo segue la logica dell’uno per uno a cui punta anche la psicoanalisi».

Matteo Bonazzi, Lacan e le politiche dell’inconscio, clinica dell’immaginario contemporaneo, Mimesis, Milano 2012, p.79.