La tecnica rotta

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Tra il 1924 e il 1926, il filosofo Sohn-Rethel abitava a Napoli. Osservando il contegno dei pescatori alle prese con le loro barchette a motore e degli automobilisti che cercavano di far partire le loro vecchissime vetture, egli formulò una teoria della tecnica che definì scherzosamente “filosofia del rotto”. Secondo Sohn-Rethel, per un napoletano le cose cominciano a funzionare soltanto quando sono inadoperabili. Ciò vuol dire che egli comincia a usare veramente gli oggetti tecnici  solo dal momento in cui essi non funzionano più; le cose intatte, che funzionano bene per conto loro, lo indispettiscono e gli sono invise. E, tuttavia, ficcando un pezzo di legno nel punto giusto o assestando loro un colpo al momento opportuno, egli riesce a far funzionare il dispositivo secondo i suoi desideri. Questo comportamento, commenta il filosofo, contiene un paradigma più alto di quello corrente: la vera tecnica comincia non appena l’uomo è capace di opporsi all’automatismo cieco e ostile delle macchine e impara a spostarle in territori e usi imprevisti, come quel ragazzo che in una via di Capri aveva trasformato un motorino da motocicletta rotta in una apparecchio per montare la panna.

Giorgio Agamben, Nudità, Nottetempo, Roma 2010, pp. 140-141.

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