Pasolini contra multiculturalismo

La tolleranza, sappilo, è solo e sempre puramente nominale. Non conosco un solo esempio o caso di tolleranza reale. E questo perché una «tolleranza reale» sarebbe una contraddizione in termini. Il fatto che si «tolleri» qualcuno è lo stesso che lo si «condanni». Infatti il «tollerato» si dice di far quello che vuole, cha ha il pieno diritto si seguire la propria natura, che il suo appartenere a una minoranza non significa affatto inferiorità eccetera eccetera. Ma la sua «diversità» resta identica sia davanti a chi abbia deciso di tollerarla, sia davanti a chi abbia deciso di condannarla. Quindi il negro potrà essere negro, cioè vivere liberamente la propria diversità, anche fuori da «ghetto» fisico, tuttavia la figura mentale del ghetto sopravvive invincibile. Egli può uscire da lì solo a patto di adottare l’angolo visuale e la mentalità di chi vive fuori dal ghetto, cioè della maggioranza

Cos’è, una critica al multiculturalismo? No, non era ancora nato:

Pier Paolo Pasolini, Lettere luterane, in paragrafo terzo: ancora sul tuo pedagogo, pp. 35-36, Garzanti, Milano 2010.

L’antifascismo di Pasolini

In realtà ci siamo comportati coi fascisti razzisticamente: abbiamo cioè frettolosamente e spietatamente voluto credere che essi fossero predestinati razzisticamente a essere fascisti. E non nascondiamocelo: tutti sapevamo, nella nostra vera coscienza, che quando uno di quei giovani decideva di essere fascista, ciò era puramente casuale, non era che un gesto, immotivato e irrazionale: sarebbe bastata forse una sola parola perché ciò non accadesse. Ma nessuno di loro ha mai parlato con loro o a loro. Li abbiamo subito accettati come rappresentanti inevitabili del Male. E magari erano degli adolescenti e delle adolescenti diciottenni, che non sapevano nulla di nulla, e si sono gettati a capofitto nell’orrenda avventura per semplice disperazione

Pier Paolo PasoliniIl Potere senza volto, in Scritti corsari, p. 49, Garzanti Milano 2011. 

Da sinistra, contro il pensiero debole

Che paese meraviglioso era l’Italia durante il periodo del fascismo e subito dopo! La vita era come la si era conosciuta da bambini, e per trent’anni non è più cambiata: non dico i suoi valori – che sono una parola troppo alta e ideologica per quello che voglio semplicemente dire – ma le apparenze parevano dotate del dono dell’eternità: si poteva appassionatamente credere nella rivolta o nella rivoluzione ché tanto quella meravigliosa cosa che era la forma della vita, non sarebbe cambiata…sarebbero giustamente migliorate soltanto le loro condizioni economiche e culturali, che non sono niente rispetto alla verità preesistente che regola meravigliosamente immutabile i gesti, gli sguardi, gli atteggiamenti del corpo di un uomo o di un ragazzo. Le città finivano con grandi viali, circondati da case, villette o palazzoni popolari dai «cari terribili colori» nella campagna folta.

Pier Paolo Pasolini, Sandro Penna: «Un po’ di febbre», Garzanti, 1973, in Scritti corsari, Garzanti, Milano 2011.

Una bella risposta nostalgica contro il pensiero debole.