«L’interazione diretta con il pubblico può influire sulla stabilità verbale: le aspettative del pubblico possono infatti contribuire a fissare temi e formule. Ho visto confermata l’importanza delle aspettative in una mia esperienza personale. Alcuni anni fa stavo raccontando la storie dei “Tre Porcellini” a una mia nipotina, ancora abbastanza piccola da conservare una mentalità orale nonostante l’ambiente letterato circostante. A un certo punto dissi: “Egli soffiò e sbuffò, e soffiò e sbuffò, e soffiò e sbuffo”. Cathy si arrabbiò per la formula che avevo usato. Lei conosceva bene la storia, e la mia formula non era quella che si aspettava. Esclamò imbronciata: “Egli soffiò e sbuffò, e sbuffò e soffiò, e soffiò e sbuffò”. Io modificai la mia narrazione, accondiscendendo alle richieste del mio pubblico, come spesso hanno fatto altri narratori orali».
Walter J. Ong, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Il Mulino, Bologna 2012, p. 113.
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L’oralità, essendo suono, non ha la possibilità di concretizzarsi visivamente, per cui il processo di memorizzazione segue un percorso diverso rispetto alla scrittura. Ricordare ciò che si ascolta richiede ridondanza, invece ciò che è scritto non va necessariamente ricordato, basta riprendere in mano il testo (da qui l’invettiva di Platone contro il pharmacon della scrittura).
Perciò, come per la musica, la formula orale deve accontentare due elementi: ritmo e armonia, che sommati insieme danno eleganza. “Sbuffò” e “soffiò” sono parole che si ripetono tre volte ciascuna, e ciascuna viene ripetuta consecutivamente alla fine e all’inizio della frase successiva, rendendo più facile la memorizzazione di tre sequenze che somigliano a un accordo: alla formula “sbuffò e soffiò” ne seguono due che iniziano con l’ultima parola pronunciata. Tutte e tre esauriscono la combinazione possibile di due parole. Totale: tre formule, con la terza che ripete la prima: armonia.
Nonno Ong ripeteva in modo meccanico e uguale la stessa sequenza rendendone difficile la memorizzazione: tanto vale ripeterlo una volta sola, come se fosse scritto. Ripeterlo tre volte, uguale, a voce, sarebbe la cacofonia della musica mistica, o dance, che è funzionale allo sballo, quando qui siamo di fronte alla lirica di un racconto che deve trasportare l’immaginazione più che il corpo. Cathy, come ogni racconto insegna, desidera qualcosa di armonioso e ritmico.