Disumanizzare il nemico

Heinrich Luitpold Himmler

Bisogna disumanizzare per uccidere. Il problema è che è impossibile disumanizzare, perché qualsiasi cosa tu possa fare per ridurre una persona a una cosa, questa continuerà a respirare. Per quanto si possa percuotere forte, per quanto la si possa ridurre al raccapriccio, all’informe, all’asessuato, sanguinerà, resta viva, consapevole. E ti guarda.

Durante la Seconda guerra mondiale si uccideva soprattutto con un colpo alla nuca. E quando la vittima scorgeva dalla cima del fossato il cumulo di cadaveri su cui a breve sarebbe precipitato – morto, se gli andava bene – la scena diventava grottesca, surreale, il panico. Era troppo anche per chi sparava. In Polonia i tedeschi hanno impiegato manodopera ucraina antisemita per rastrellare i villaggi. Non ce la facevano, i nazisti, era troppo anche per loro, gli ufficiali sub-appaltavano gli ordini che ricevevano da Berlino. E gli ordini sono ordini, e ci si convince di star facendo la cosa giusta, per una causa in cui si crede, pur non approvandone i mezzi. Milioni di persone sono morte così, migliaia di persone uccidono così.

Poi ci sono i campi di concentramento, che sono un altro pezzo della storia, più soggetta al riduzionismo (per cui l’orrore della Seconda guerra mondiale sia stato il campo di concentramento). Ma quella è la parte televisiva della storia, epica, scenografica, metaforicamente immensa, drammatica. L’orrore non è solo lì. Ci sono state anche le fosse, i rastrellamenti delle città e delle periferie, il terrore che dilagava parallelamente all’avanzamento del fronte. Queste cose non andrebbero dimenticate. L’inaudito sacrificio dei corpi, la disumanizzazione del nemico, la Guerra Totale, la volontà di dominio senza cosmopolitismo. L’imperialismo tossico. Tutto adesso, qui, ora. Una passione per il reale.

Eh no, amico caro, ti piacerebbe che il problema fosse tutto concentrato nei campi. Il problema è il delirio di onnipotenza. Sono piovute pistolettate in quel periodo, molte più di quelle che potresti immaginare. Le camere a gas al confronto sono un vezzo, una trovata logistica, un privilegio per pochi.

Sto leggendo un libro che ripercorre alcuni eventi della Seconda guerra mondiale dal punto di vista della Germania. La campagna di Russia, l’ufficio di Himmler. È un romanzo, il diario di un nazista frocio. Ho detto frocio per umanizzarlo, non per disumanizzarlo. Non nel senso è nazista ma almeno gli è capitato di essere frocio, piuttosto è nazista però è, tutto sommato, una persona come tante.

Jonthan Littel, Le benevole, Einaudi

Tutti i personaggi delle storie che ci piacciono, perlomeno da vent’anni, hanno tratti dickensiani: non sono buoni e non sono cattivi, sono uomini e fanno cose malvagie. Non è il relativismo morale che ci attira, anzi, sono personaggi dalla moralità granitica, lucidissima, sappiamo benissimo che loro sanno benissimo quando si stanno comportando bene e quando male. Quello che intriga è il fatto che ci riconosciamo in quello che fanno. Potremmo essere noi. Magari – senza quella teatralità evenemenziale cinematografica – nella sostanza lo siamo. Sono persone normali che a un certo punto lasciano che siano le circostanze a spingerle a fare quello che devono fare, piuttosto che fare quello che si deve fare a prescindere dalle circostanze. È la rivincita del pragmatismo razionalista inglese sull’idealismo romantico tedesco.

Walter White (Brian Cranston)

Ci chiamiamo Walter White, Tony Soprano, Omar Little, Stringer Bell, Jimmy McNulty. La catarsi è nel realismo del personaggio, senza stereotipi, stilemi. Il nemico, il cattivo, non è allontanato e disumanizzato ma umanizzato, è una persona normale, non è diabolico, non è angelico. Non è un essere sacro che trascende la nostra esperienza vissuta, piuttosto è il male in una splendida giornata di sole ad Albuquerque. Questo è il male.

Oltre ad Arendt, oggi bisogna anche vedere i film, i telefilm e leggere i casi editoriali come fosse il Processo di Norimberga. D’altronde, se si tratta di com-prendere le cose bisogna afferrarle non allontanarle. Il male va fatto sedere sul divano e parlarci, appassionarcisi. Non dico farci l’amore che è pericoloso ma ci si deve responsabilizzare verso le cose che si vuole conoscere. Cos’è il male? A che serve?

Appassioniamoci al male.

La moralità è un lavoro continuo su di sé, una presa d’atto della responsabilità continua, mai risolutiva, che si ha verso la propria esistenza, prima ancora che verso quella degli altri. L’anima bella non esiste, però non esiste neanche il diavolo. Significa che tutto è permesso? Sì, significa proprio che tutto è permesso, visto che dio è morto. Però significa anche che, essendo liberi e autonomi, si è quindi liberi anche di non dover per forza fare tutto ciò che è permesso. Sarebbe un po’ stupido fare tutto quello che è permesso, come degli automi. Confidare troppo nell’edonismo ha un effetto nefasto, paradossale: si diventa dei bacchettoni, ossequiosi della legge, che ti comanda di fare tutto quello che vuoi.

Bisogna abituarsi a vedere i film horror fatti bene. Il male non è semplicemente quell’abisso nietzschiano che poi ti guarda e ti paralizza. Quello è l’effetto che fa quando lo guardi la prima volta. Poi ti abitui e impari a riconoscerlo, a misurarti. Impari a prenderne atto per prenderne le distanze. Rimuovere la necessità di invischiarsi nell’osceno espone a una potente deresponsabilizzazione: il male è espulso come un corpo estraneo e io ne sono fuori. E se io sono buono, sono mamma e papà ad essere cattivi, sono loro, gli altri, a essere malvagi. Quelli che governano, ladri!, quelli che non vivono come te, inferiori!, quelli che ci comandano, che ci manipolano, che ci riempiono di bugie. Che invidia! Li apriremo come una scatola di tonno. Capitàno! Io sono una vittima e, al contrario di loro, io sono buono, di razza pura, loro sono il male e andrebbero eliminati. È un attimo passare dall’altra parte se si sta continuamente a disumanizzare, a sacralizzare, a trascendere le cause come fossero oggetti da contemplare.

Per cui se il nodo è l’impossibilità di disumanizzare, è sbagliato tanto disumanizzare quanto disumanizzare chi si illude che la soluzione sarebbe catalogare gli umani in umani e disumani. È sbagliato disumanizzare qualsiasi umano, se non esistono umani di serie A e di serie B. È sbagliato rendere diabolici i nazisti per un motivo molto semplice: diventano irriconoscibili, disumani, super-umani. Si stenta a riconoscerli.

La banalità poco raccontata

Nella banalità del male non è il male a essere banale ma il malvagio. E’ una differenza importante. Per capire cosa sia questo malvagio l’ingenuo dei cartoni animati può essere istruttivo. Come ci insegna la psicologia applicata al cinema, il mondo dei Looney Tunes è pre-edipico: «[i soggetti dei cartoni animati] non conoscono la morte, non conoscono neppure la sessualità, la sofferenza, inseguono semplicemente le loro velleità orali, egotistiche, come gatti e topi dei cartoni animati. Li fai a pezzi e loro si ricompongono. Non c’è finitezza, non c’è mortalità. C’è il male, ma è un male ingenuo, buono. Sei semplicemente egotista: vuoi mangiare, vuoi colpire l’altro. Non esiste una colpa vera e propria» (Slavoj Žižek). I desideri sono quelli infantili, precedenti ogni istinto libidinoso. Attenzione però, questa dimensione non è innocente perché pre-edipica (i bambini sanno essere molto crudeli d’altronde) ma perché non c’è finitezza. Le azioni non hanno ripercussioni realistiche, se le avessero Willy il Coyote dovrebbe esser già morto da un pezzo sotto i massi che tenta di lanciare contro beep beep e che puntualmente gli cadono addosso. L’ingenuità del cartone animato è data dalla sua mancanza di finitezza, non da un’ingenuità propria dei personaggi. Se vivessi in un mondo in cui non si muore farei cadere un sacco di pianoforti in testa agli amici anche se, in un mondo reale dove vivi senza morire, scherzi del genere non avrebbero lo stesso effetto che in un cartone. Il cattivo animato è ingenuo e la sua pericolosità si limita a quella di un innocuo rompiscatole in un mondo senza finitezza. Ma cosa succederebbe se Gargamella entrasse nel mondo reale? O meglio, se centinaia di migliaia di Gargamella, Willy il Coyote e Tom lavorassero al servizio di uno stato totalitario? Avremmo tanti Adolf Eichmann? Non credo. C’è una bella differenza tra lui e Gargamella. Primo, Gargamella sapeva quello che faceva, Eichmann no. Un Gargamella SS si fermerebbe e direbbe “Hey! Le regole sono cambiate! Non faccio del male alle persone!”. Eichmann non si rendeva conto delle terrificanti conseguenze delle sue azioni, non si immedesimava nei deportati e confidava nell’opinione di gente più istruita di lui. Così non sono i cattivoni dei cartoni ad essere ingenui, banali, ma Eichmann e tutti gli altri burocrati come lui. Ingenui carnefici inconsapevoli che agivano senza riflettere davvero su cosa stessero facendo non potendone vedere direttamente, da burocrati quali erano, gli effetti. In realtà questo confronto tra cattivoni animati e cattivi reali non porta da nessuna parte. Non c’è storia. Gargamella vince: è molto più intelligente di Eichmann. La tragedia è che Gargamella e gli altri come lui non esistono e incarnano una figura presente da sempre da che si raccontano storie. Invece il mediocre Eichmann e tanti altri come lui sono sempre esistiti e purtroppo vengono raramente raccontati nella loro verità come banali individui, mentre sono più spesso rappresentati come poco realistici mostri assetati di sangue. Non bisogna essere necessariamente demoni o nazisti per incarnare il male. Non è un caso che l’adesione di Eichmann al nazionalsocialismo è stata, come racconta la Arendt, senza convinzione, su consiglio di un amico (una modalità di partecipazione non molto diversa da quella di molti miei coetanei che scelgono l’Arma e l’Esercito come alternativa ad un lavoro precario o alla disoccupazione). Non bisogna essere scaltri e intelligenti per contribuire inconsapevolmente al proprio sprofondamento, è sufficiente essere ingenui e senza appassionate aspirazioni. Non importa quale periodo storico sia, nazionalsocialista europeo della prima metà del novecento o populista italiano a cavallo tra il XX e il XI secolo. E’ sempre l’ingenuità quella di cui una lobby/classe politica ha bisogno al suo fianco per comandare. Purtroppo questi servi ingenui non sono dei Sir Biss, ma tanti Gasparri: buffi, squallidi, ignoranti, sfigati e potentissimi aiutanti del boss. Certo è alquanto semplicistico appiattire Eichmann su Gasparri, senza contare che il primo è un genio a confronto del secondo. Purtroppo questi due personaggi hanno molte cose in comune, a cominciare dalla mancanza di una consapevolezza critica. E così un nazista può essere Arendtianamente banale quanto un berlusconiano, la sostanziale differenza la fa la storia. Allora mi domando: se il Giorno della Memoria è importante “per non dimenticare”, per scongiurare la possibilità di un “ritorno delle cose”, perché non istituire anche un “Giorno della Banalità” con cui ricordare gli imbecilli, gli inconsapevoli, gli ingenui, i banali uomini di potere così da esorcizzarli nella loro verità