Che cos’è un racconto?

Sciamano delle Ande

Lo sciamano don Sergio, Ande

«Le fasi più antiche della storia vengono distinte tradizionalmente in base alla materia degli utensili adoperati: pietra, ferro, bronzo. Si tratta di una classificazione convenzionale, basata su elementi esterni. Ma è stato osservato che l’uso di utensili, per quanto decisivo, non contraddistingue in maniera specifica la specie umana. Anche se in misura molto limitata, esso è condiviso da altre specie animali. Solo la specie umana, invece, ha l’abitudine di raccogliere, produrre, ammassare o distruggere oggetti che hanno un’unica funzione, quella di significare: offerte agli dei o ai morti, suppellettili funerarie sepolte nelle tombe, reliquie, opere d’arte o curiosità naturali conservate in musei o collezioni. A differenza delle cose, questi oggetti portatori di significato, o semiofori (come sono stati definiti) hanno la prerogativa di mettere in comunicazione il visibile con l’invisibile, ossia con eventi o persone lontani nello spazio o nel tempo, se non addirittura con esseri situati al di fuori di entrambi – morti, antenati, divinità. La capacità di oltrepassare l’ambito dell’esperienza sensibile immediata è del resto il tratto che contraddistingue il linguaggio, e più in generale la cultura umana. Essa nasce dall’elaborazione di un’assenza […].

Si potrebbe essere tentati di riproporre la vecchia tesi che l’ontogenesi ricapitola la filogenesi, che l’individuo ripercorre nella sua crescita le tappe percorse dalla specie umana. L’osservazione del presente consentirebbe allora di afferrare un passato altrimenti inattingibile. Nel gesto del bambino di diciotto mesi, che (forse) rivive le reazione suscitate dall’assenza e dal ritorno della madre gettando lontano da sé un rocchetto avvolto in un filo, per ritrovarlo gioiosamente subito dopo, si è riconosciuto un modello di ripetizione simbolica, controllata e non coatta, del passato. Ma è lecito cercare le radici del simbolismo mitico-rituale nella psicologia infantile?
Ammettiamo pure che il bambino usi il rocchetto come un semioforo; che il rocchetto designi la madre, sia la madre. Un esempio basterà a illustrare le potenzialità e i limiti dell’analogia tra individuo e specie. L’uso di raccogliere le ossa degli animali uccisi per farli resuscitare è certamente molto antico. Proviamo a supporre una specie animale che tragga buona parte dei propri mezzi di sussistenza dall’uccisione di altre specie animali, vertebrate, reperibili in quantità non illimitata. Ci sono forti probabilità che questa specie finisca prima o poi con l’utilizzare le ossa degli animali uccisi come semiofori.
Bisogna però che alle condizioni già ricordate se ne aggiunga un’altra, decisiva: la specie in questione deve disporre già di quelle capacità simboliche che attribuiamo in maniera esclusiva alla specie homo sapiens. Con ciò il cerchio si chiude. L’origine ci è, per definizione, preclusa […].

Certa invece è la somiglianza profonda che lega i miti poi confluiti nel sabba. Tutti rielaborano un tema comune: andare nell’aldilà, tornare dall’aldilà. Questo nucleo narrativo elementare ha accompagnato l’umanità per millenni. Le innumerevoli variazioni introdotte da società diversissime, basate sulla caccia, l’allevamento, l’agricoltura, non ne hanno modificato la struttura di fondo. Perché questa permanenza? La risposta è forse semplicissima. Raccontare significa parlare qui e ora con un’autorità che deriva dall’essere stati (letteralmente o metaforicamente) là e allora. Nella partecipazione al mondo dei vivi e a quello dei morti, alla sfera del visibile e a quella dell’invisibile, abbiamo già riconosciuto un tratto distintivo della specie umana. Ciò che si è cercato di analizzare qui non è un racconto tra i tanti ma la matrice di tutti i racconti possibili».

Carlo GinzburgStoria notturna. Una decifrazione del sabba, Einaudi, Torino 2008, pp. 244-245 e 288-289.

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