In Italia ci sono 25 milioni di persone che nutrono l’economia italiana senza essere riconosciute. Sono immigrati, pensionati poveri, disoccupati, precari e neet (Not in Education, Employment or Training). Cinque categorie sociali ora bersagliate ora coccolate dalla propaganda politica. Cinque classi che insieme formano un’unica “maggioranza invisibile”, termine coniato da Emanuele Ferragina nel suo ultimo libro, La maggioranza invisibile (Rizzoli). Ferragina nasce a Catanzaro nel 1983, studia scienze politiche a Torino e si forma in giro per l’Europa tra Bordeaux, Parigi e un dottorato all’Università di Oxford dov’è attualmente lecturer nel dipartimento di Politiche Sociali. È un politologo, editorialista del Fatto quotidiano e membro della Fonderia Oxford, laboratorio politico formato da accademici italiani accomunati, si legge sul sito, «da un forte legame con l’Italia e dalla voglia di continuare a crescere (e magari tornare) in un paese più giusto, libero ed eguale».
La maggioranza invisibile è il suo secondo libro, con un lungo sottotitolo ad uso e consumo immediato: chi sono gli italiani per i quali la politica non fa nulla, e come potrebbero cambiare davvero l’Italia. In realtà è un testo a quattro mani realizzato insieme al collega connazionale Alessandro Arrigoni, anche lui ricercatore di Oxford.
Ferragina e Arrigoni utilizzano lo strumento concettuale della maggioranza invisibile per racchiudere unitariamente cinque classi sociali in conflitto. In questo scenario politico la distinzione tra destra e sinistra, secondo i giovani politologi, è prettamente nominale: la prima sarebbe noliberista, la seconda garantista, salvo poi annullarsi in una specie di socialismo blairesco da “Terza via”, figlio della Tatcher, che persegue indistintamente austerity e taglio del costo del lavoro. Una politica economica che in Italia va avanti da almeno trent’anni, con un’accelerata dopo Tangentopoli, che ha portato alla creazione di una maggioranza invisibile che secondo i calcoli di Ferragina e Arrigoni è fatta da 25 milioni di italiani, la metà del corpo elettorale. Il guaio è che non si tratta di operai uniti nella lotta ma immigrati, pensionati, precari, disoccupati e depressi che il più delle volte se le danno di santa ragione tra loro. Una grossa fetta della popolazione italiana che non può contare su assunzione e assistenza sociale e nello stesso tempo conta moltissimo per l’economia a basso costo.
La maggioranza invisibile, che riprende in un senso politicamente invertito la “maggioranza silenziosa” conservatrice che Nixon incitava a votare a favore della guerra in Vietnam, è praticamente il nuovo proletariato, con la differenza che siamo di fronte a frammenti sconclusionati di difficile se non impossibile rappresentanza. Nelle elezioni politiche del 2013 il MoVimento 5 Stelle è riuscito a raccogliere le istanze di questa classe liquida, salvo poi disperderla in una propaganda isterica.
La maggioranza invisibile è un libro di analisi elettorale italiana con elementi di storia del fordismo. Ti spiega come la polarità berlusconiana-antiberlusconiana ha rispecchiato una polarità culturale più che politica, nascondendo una natura economica unitaria che piuttosto che essere senza ideologie è semmai guidata dall’unica ideologia sopravvissuta alla crisi energetica del ’73 e alla caduta del Muro dell’89, quella neoliberista e monetarista, ossessionata dalle privatizzazioni e dal taglio del costo del lavoro. Ti racconta l’importanza del welfare state, della redistribuzione, del lavoro ben pagato e del potere di negoziazione contrattuale. Al centro un mostro informe che se soltanto si riuscisse a compattare e a essere solidale prima di tutto con se stesso determinerebbe grossi cambiamenti. Maggioranza invisibile, si legge alla fine del libro, è «profitto che finisce sempre nelle tasche di qualun altro», «ricerca vana di un asilo, è scelta fra la carriera e l’avere un bambino», «è studio non riconosciuto, è lavoro in un call center a 370 euro al mese, è figli a carico sostenuti a stento».
Emanuele, per chi hai scritto questo libro?