Noi napoletani siamo provinciali, subito invidiosi se c’è qualcuno che fa arte in autonomia, che crea qualcosa senza chiedersi se possa compiacere i dirimpettai, che magari di arte non capiscono nulla. Cerchiamo subito di acchiappare e trattenere chi vorrebbe seguire la sua strada perché altrimenti ne perderemmo il potere di controllo. Il sentimento di tradimento e malinconia che ci caratterizza è una dimostrazione di ingenuità, tanto siamo concentrati sulla teatralità del fare. Pino l’ha capito subito, prestissimo, ha capito che se voleva diventare un grande musicista doveva smarcarsi da tutto questo. A 18 anni scrive Napul’è. All’età in cui si vive alla giornata aveva già dato il meglio di sé. Due, tre dischi in cui c’è tutta la sua carriera. Un blues mediterraneo in una miscela esplosiva. È questa la differenza che fa il genio.
Pino Daniele è ambivalenza pura. È riuscito a uscire dalla “provincialità” e a farsi grande, e per farlo ha dovuto lasciare una città che altrimenti lo avrebbe stritolato, appunto, nel provincialismo. È tutta qui la ragione per cui lo amiamo tanto, la stessa per cui non piace: resta uno straordinario neomelodico che si porta la provincia dentro. È un profondo cantante malinconico.
Una canzone su tutte, Chi tene ‘o mare. È la canzone di Pino e di Senese, si sforza di essere blues (Pino) e jazz (Senese) nonostante sia profondamente neomelodica. Le parole sono poesia ma non è chiaro quello che vuole dire. Che significa che chi vive vicino il mare “cammina con la bocca salata”? Che non è amarezza, altrimenti la bocca sarebbe appunto amara. È piuttosto una bocca secca, prosciugata. Per me questa canzone significa che chi vive in un posto splendido e accogliente come Napoli s’illude che la natura basti alla bellezza, è fess e cuntent. Non è vero che è bello vivere in un posto in cui la natura è tremendamente generosa. Questo lo dicono solo i turisti, chi viene, ammira e va via. Chi al contrario vive in posti così porta na croce: il fardello di chi si fissa sulla bellezza, di chi crede che il mare (nel senso della natura, delle cose il cui stato non dipende da noi) basti per tutto e non si occupa delle cose a portata di mano. È il fardello dei popoli del Mediterraneo che vivono in un lago sereno e, magari proprio per questo, non riescono ad autogestirsi. Chi tene ‘o mare, ‘o ssaje, nun tene niente.
Pino Daniele è un perfetto misto di blues (o sap caaaaa) e neomelodicità (è fess e cuntento). Un nero a metà. È arrivato come un fulmine tra gli anni ’70 e ’80. Guardava all’ammerica e alla sua straordinaria ricchezza musicale, conscio che il suo linguaggio, quello di un diplomato ragioniere cresciuto a Santa Maria la Nova, era lo stesso. Il suo successo è il segreto della creatività: la fecondità è frutto di commistioni bastarde. Lo dice anche la legge di natura: replicare lo stesso DNA alla lunga stanca e avvizzisce, bisogna variare.