Uno psicoanalista taglierebbe corto e direbbe che l’intenzione inconscia del ragazzo che a Napoli oggi ha sfondato il colon a un suo coetaneo infilandogli un compressore nel culo era quella di ucciderlo. Niente di grave, stiamo parlando di inconscio, intenzioni che nessuno ammetterebbe, un campo nel quale la legge non può intervenire, soltanto il chiaroscuro moralmente scandaloso dell’analisi. È la ragione per cui il ragazzo-bullo ha tutto il diritto di difendersi dall’accusa di tentato omicidio e non verrà invece giudicato da un processo popolare. Ed è il motivo per cui è molto probabile che non verrà condannato per tentato omicidio.
Quello che è successo oggi a Pianura mi ha fatto venire in mente il film Codice d’onore (A Few Good Men, 1992) che racconta un processo nel quale una coppia di marines sono accusati dell’omicidio di un commilitone (Santiago), punito – a causa della sua disponibilità a cantare un altro commilitone – con un nonnismo finito male.
Santiago era troppo debole e insicuro per la dura vita da militare, così come il ragazzo di Napoli era troppo goffo agli occhi profondamente insicuri dei tre bulli di periferia (davvero di periferia, di Pianura). Entrambi i gruppi di bulli (i due commilitoni del film e i tre ragazzi di circa 24 anni) si sentivano sicuri nel posto dove si sono svolti i fatti: i militari erano coperti dai loro superiori sulla base del “codice rosso” (un provvedimento disciplinare non ufficiale) e i tre ragazzi dal fatto che almeno uno di loro era imparentato con il proprietario dell’autolavaggio, così da sentirsi liberi di abbassare i pantaloni della vittima, prendere un compressore e infilarglielo con accuratezza nel culo.
C’è una casualità tragica nel bullismo, una linea molto sottile tra la vita e la morte, un’ingenuità molto potente nell’atto: non puoi immaginare quanto fragile possa essere un corpo. Gli adolescenti giocano con il proprio corpo, tutti ci abbiamo giocato almeno una volta, non che tutti siamo stati bulli ma tutti, da adolescenti con un corpo in continuo cambiamento, almeno una volta abbiamo sperimentato la vicinanza di questo confine, vuoi sbronzandoci pesantemente, vuoi tuffandoci in acqua da quindici metri, vuoi sperimentando la potenza di un compressore nell’orifizio di un’altra persona. La casualità sta nell’ubriacarsi nel posto e con le persone giuste, nell’entrare in acqua con l’angolo corretto, e nell’infilare un compressore ovunque, ma non nel buco del culo di una persona, a meno che – e qui lo scandalo della psicoanalisi è rivelatore – non vuoi la sua morte.
I quotidiani non sanno come prendere la notizia. L’episodio è bizzarro perché i genitori dei carnefici possono essere interpellati fino a un certo punto: i carnefici sono appunto maggiorenni. Ma la necessità di irrigidire le posizioni è troppo forte per il giornalismo quotidiano: così compare il “branco” e il “povero ciccione”. La domanda è, seguendo il tragicomico stereotipo: come avranno fatto a trovare il buco del culo?
In questo racconto surreale i genitori dei carnefici impersonano il colonnello Nathan R. Jessep (Nicholson): nonostante i loro figli siano colpevoli, sostengono (e non smetteranno mai di farlo) che si è trattato di un gioco finito male. È vero, è stato solo un gioco, ma giocato senza conoscere le regole visto che non mi sembra che sapessero bene quanto potente possa essere un compressore utile a gonfiare ruote che devono sostenere un’auto pesante qualche quintale. Immagino la faccia che avevano quando si sono resi conto di quello che hanno fatto, qualcosa di molto simile ai due stupidi militari che credevano che infilando uno straccio in bocca a Santiago non l’avrebbero soffocato.
Codice d’onore finisce con i due imputati militari accusati di omicidio scagionati dalla volontarietà del crimine ma congedati con disonore, seguendo il filone classico hollywoodiano della giusta giustizia: non sei colpevole agli occhi della legge ma non per questo agli occhi della società resterai per sempre un vile.