Ho letto la prima traduzione italiana di un testo di Friedrich A. Kittler (foto in alto), filosofo tedesco che ho scoperto da poco. Il libro si chiama Preparare la venuta degli dei, Wagner e i media senza dimenticare i Pink Floyd (titolo originale: Das Nahes der Gotter vorbereiten) e raccoglie tre conferenze. La seconda conferenza, Il dio delle orecchie, contiene una straordinaria e serrata ermeneutica dei Pink Floyd, il gruppo che ha inventato la musica dopo la musica moderna.
Il discorso di Kittler è il seguente: l’arrivo del sound, termine con il quale Kittler indica la nascita del suono riproducibile elettronicamente, ha determinato l’emancipazione del suono vero e proprio, liberandolo dalla sua in-scrizione nelle parole, nella metrica, per farlo esplodere come semplice suono. Il sound di Kittler ha implicito il surr-ound, il suono che ti avvolge da tutte le parti senza una sorgente identificabile se non il suo stesso suono.
«E pensare che tutto era iniziato in modo così semplice. Roger Waters, Nick Mason e Richard Wright, tre studenti di architettura nell’Inghilterra degli anni Sessanta, si esibivano con le loro chitarre nei teatri di periferia suonando vecchi classici di Chuck Berry. Si chiamavano The Architectural Abdabs, un gruppo che oggi nessuno ricorda più. Un bel giorno di primavera del 1965, si unì a loro un chitarrista e cantante che inventò il marchio Pink Floyd, cioè il nome della band e il sound che lo caratterizza: amplificatori sovramodulati, mixer come quinto strumento, suoni vorticanti nello spazio e tecnologia delle basse frequenze combinata con l’opto-elettronica fino ai limiti del possibile. Con buchi neri al posto degli occhi, Syd Barrett apre al rock’n’roll il dominio dell’astronomia, Astronomy Domine».
Rovesciando la tesi di McLuhan, Kittler conclude che con l’arrivo del sintetizzatore (per i Pink Floyd il Coordinatore Azimuth) il medium non è più il suo stesso messaggio ma ritorna di nuovo propriamente medium, mezzo, strumento di qualcosa che non appartiene più strutturalmente alla cosa che riproduce: se la televisione ti chiede di guardarla, non importa cosa basta che guardi lei, il sintetizzatore ti chiede di ascoltare, non importa da dove esca fuori il suono basta che ascolti.
«[…] in presenza del denaro e della follia cadono tutte le barriere ed è stato Barrett e nessun altro a fornire la prova assicurando ai Pink Floyd, con il Coordinatore Azimuth, una superiorità tecnica su tutti gli altri gruppi musicali. Come dice già il nome, il Coordinatore Azimuth è un impianto di amplificazione che riesce a far arrivare all’ascoltatore singoli suoni, tracce e stratificazioni all’interno della massa sonora in posizioni variabili a piacimento lungo le tre dimensioni spaziali: Brain Damage ne celebra la gloria».
Alla base della sparizione del medium-messaggio e del ritorno del medium come strumento che produce qualcosa che non gli appartiene, c’è il ruolo particolare che ha l’orecchio su tutti gli altri sensi. Riprendendo l’osservazione dello psicoanalista francese Jacques Lacan secondo il quale l’orecchio è l’unico orifizio del corpo che non si può chiudere, Kittler conclude che l’ascolto non è un atto volontario: a differenza della visione, del sapore, del tatto e dell’olfatto, il suono ci piove addosso senza che possiamo controllarlo. L’udito è l’unico senso che si stoppa solo al prezzo della sordità: possiamo smettere qualche volta di guardare e odorare, ma mai di ascoltare.
«Nel regno dell’acustica le cose non funzionano come nello show business: «Le orecchie sono, nel campo dell’inconscio, il solo orifizio che non possa chiudersi» [J. Lacan, Il seminario. Libro XI]. Dal prato attraverso il corridoio fin dentro alla testa: l’inarrestabile avanzamento della follia passa per orecchie incapaci di difendersi e, alla fine della canzone, che sia Brain Damage o The Wall, gli argini si sono ormai rotti, la testa esplode e si sentono solo urla che rimangono inascoltate».
Nel sound non c’è più primarietà del medium sul messaggio come voleva McLuhan. La musica dei Pink Floyd è oggetto di qualcosa su cui il medium non esercita più alcun controllo. Il medium, dopo decenni di autoreferenzialità, ritorna a mediare. Il messaggio del sound non si in-scrive più nel Reale per mezzo del medium, permettendo a quest’ultimo di dominare pensieri ed emozioni, ma lo travalica. Il sintetizzatore è insomma un medium vecchia maniera, propriamente mezzo: mette davanti (di dietro, da sinistra, da destra, da sopra, da sotto) all’ascoltatore il sound e nient’altro. Il prezzo da pagare è la dispersione del messaggio nel suono stesso, anziché nel medium, col risultato di mettere l’ascoltatore faccia a faccia con l’inconscio.
Ma questa natura del medium di Kittler non viene che sfiorata dai Pink Floyd che con il loro marchio impacchettano e producono il suono per i desideri del capitale. Non lo riproducono più, come invece voleva Syd Barrett, colui che ha creato il sound dei Pink Floyd con il Coordinatore Azimuth.
«La stella dell’undeground londinese ha brillato per due anni scarsi […]. Durante le ultime esibizioni di Barrett la mano sinistra, invece di impugnare il manico della chitarra, cade molle lungo il fianco, mentre la destra pizzica incessantemente la stessa corda libera: la monotonia che è qui insieme inizio e fine della musica, come nelle tecniche di tortura cinese. Poi, l’uomo che ha inventato i Pink Floyd sparisce da tutti i palchi e sprofonda in una terra di nessuno medica tra psicosi da LSD e schizofrenia, mentre il suo gruppo trova un altro chitarrista e insieme a lui la formula del successo».
La nascita dei Pink Floyd ha richiesto l’esclusione di Syd Barrett, com’è lecito in ogni processo creativo che richiede sempre un’esclusione e un’inclusione. Barrett è stato escluso, afferma Kittler, perché alla base di ogni creazione c’è sempre un dentro che diventa fuori e un fuori che diventa dentro: è stato necessario escludere Barrett, il creatore dei Pink Floyd, per rendere possibile i Pink Floyd, per renderli ascoltabili e leggendari così come li conosciamo, anziché un bisbiglio rumoroso di suoni come invece avrebbe voluto il diamante pazzo-Barrett che non a caso, osserva Kittler, si dice abbia giudicato “un po’ antiquata” la musica dei suoi stessi Pink Floyd anni dopo l’addio al gruppo e alla sanità mentale.
«La macchina capitalistica e i suoi flussi di denaro vengono nutriti dal flusso decodificato e deterritorializzato dell’alienazione mentale, la cui realizzazione immediata è quella elettrica. Per sei anni i Pink Floyd hanno taciuto sull’esclusione che li ha resi possibili, ma Brain Damage è la canzone che parla del dentro e del fuori, di esclusione e inclusione e del loro reciproco annullamento».
Perché questa esclusione di Barrett?, perché la scoperta del sound, per essere tollerabileall’orecchio mortale senza sfinirlo, com’è invece successo a Barrett, andava addomesticata: prodotta, non più riprodotta.
«Quando i suoni […] possono riemergere davanti, dietro, a destra e a sinistra, sopra e sotto l’uditore, salta in aria lo spazio in cui ci si orienta quotidianamente […]. La testa, non solo come sede metaforica del cosiddetto pensiero, ma come effettivo centro del sistema nervoso, diviene una cosa sola con ciò che arriva a livello di informazione, che non si limita alla cosiddetta oggettività, ma è concretamente sound. La fine di Brain Damage è attraversata dai suoni al sintetizzatore, probabilmente a dimostrazione del fatto che i sintetizzatori hanno soppiantato già da molto tempo i giudizio sintetici a priori dei filosofi: un generatore in grado di pilotare e programmare i suoni secondo tutti i parametri – frequenza, differenza di fase, armonici e ampiezza – traduce condizioni che rendono possibile l’esperienza all’interno del simulacro fisiologicamente totale».
Il sound è un simulacro (una manifestazione di qualcosa che non rappresenta che sé stessa: un accordo musicale, un’immagine sacra di Dio) fisiologicamente totale: il suono emancipato dal medium arriva direttamente alle orecchie e al corpo dell’ascoltatore. Nel sound è il corpo a fare da cassa di risonanza. Sarebbe quindi il corpo a fare da medium, se non fosse che il corpo è punto di arrivo per il sound e insieme strumento di ascolto: per questo non si può più parlare di medium à la McLuhan.
Ma questo sound nella sua purezza, prima di essere il corpo che lo ascolta, è fondamentalmente brusio di sottofondo. E la follia è la soglia che articola questo brusio di sottofondo che sta in ogni pezzetto di informazione, sia essa un flash news o un brano rock: è il sound. Chi si immerge in esso appare pazzo all’esterno, come Barrett. Poi c’è chi, come Roger Waters (che ha sostituito Barrett), si limita ad indicare questo mondo fatto di brusii e rumori di fondo restandone fuori. Waters ha inventato un linguaggio per mostrare il non-sense alla base di ogni informazione sensata grazie alla strada aperta da Barrett che del non-senso della pura informazione senza mediazione, a differenza di Waters, è rimasto affascinato e ammaliato.
«Foucault ha scritto una Storia della follia nell’età classica; Bataille una Storia dell’orecchio; ma a Roger Waters, il compositore di Brain Damage, dobbiamo la breve storia dell’orecchio e della follia nell’epoca dei media».
Il linguaggio della follia, quella vera, dello psicotico, è il linguaggio del brusio di sottofondo che sta dietro ogni informazione che passa per un medium che non la determina. È un linguaggio indipendente dallo strumento con il quale l’informazione viene emessa. Per questo è incomprensibile, folle: non ha dove propagarsi se non ovunque, disperdendosi come un’onda sonora, finché non c’è qualcuno che ascolta un pezzetto di questa dispersione, articolandone il senso. Ecco l’informazione senza il determinismo e il controllo del medium. Ecco il sound.
«Insomma […] la storia dell’orecchio è sempre anche una storia della follia: una musica che produce danni celebrali avvera gli oscuri presentimenti che infestavano le menti e i manicomi; un’enciclopedia della psichiatria ci informa poi del fatto che «di tutte le sfere sensoriali l’udito è quella che viene più spesso colpita da allucinazioni» (C. Muller, Lexikon der Psychiatrie). Dal rumore bianco passando per sibili, gocce d’acqua e sussuri fino ai discorsi e alle grida: sono tutti i sintomi compresi nella scala dei cosiddetti acoasmi percepiti o prodotti dalla follia. Leggendoli si ha l’impressione che il nostro dizionario psichiatrico voglia stilare una lista degli effetti sonori dei Pink Floyd: il rumore bianco c’è in One of These Days, il sibilo in Echoes, le gocce d’acqua in Alan’s Psychedelic Breakfast, le urla in Careful With That Axe, Eugene e i sussuri sono ovunque… […]».
«Gli alienati mentali, che a quanto pare sono meglio informati dei loro medici, ci dicono esplicitamente che la follia non fornisce una descrizione metaforica e farfugliante di chissà quali emittenti installate nel cervello ma che, al contrario, è essa stessa una metafora della tecnologia: proprio perché viene messa sempre sui più moderni banchi di prova, la pazzia registra con precisione storiografica tramite le sue antenne lo stato attuale dell’elaborazione dell’informazione».
Friedrich Kittler, Preparare la venuta degli dei, Wagner e i media senza dimenticare i Pink Floyd, L’orma, Roma 2013. Tutte le citazioni sono da pagina 49 a seguire.