Viviamo in un mondo in cui gli Stati minacciano il terrore, lo esercitano, talvolta lo subiscono. È il mondo di chi cerca di impadronirsi delle armi, venerabili e potenti, della religione, e di chi brandisce la religione come un’arma. Un mondo in cui giganteschi Leviatani si divincolano convulsamente o stanno acquattati aspettando. Un mondo molto simile a quello pensato e indagato da Hobbes.
Ma qualcuno potrebbe sostenere che Hobbes ci aiuta a immaginare non solo il presente ma il futuro: un futuro remoto, non inevitabile, e tuttavia forse non impossibile. Supponiamo che la degradazione dell’ambiente aumenti fino a raggiungere livelli oggi impensabili. L’inquinamento di aria, acqua e terra finirebbe col minacciare la sopravvivenza di molte specie animali, compresa quella denominata Homo sapiens sapiens. A questo punto un controllo globale, capillare sul mondo e sui suoi abitanti diventerebbe inevitabile. La sopravvivenza del genere umano imporrebbe un patto simile a quello postulato da Hobbes: gli individui rinuncerebbero alle proprie libertà in favore di un super-Stato oppressivo, di un Leviatano infinitamente più potente di quelli passati. La catena sociale stringerebbe i mortali in un nodo ferreo, non più contro l’«empia natura», come scriveva Leopardi nella Ginestra, ma per soccorrere una natura fragile, guasta, vulnerata.
Carlo Ginzburg, Paura, reverenza, terrore, II. Rileggere Hobbes oggi, Adelphi, Milano 2015.
ma tu con tutto quello che sta succedendo tiri in mezzo la filosofia e hobbes ?
ma vivi in italia almeno ?