«Nelle società fondate sulla tradizione orale, la memoria della comunità tende involontariamente a mascherare e riassorbire i mutamenti. Alla relativa plasticità della vita materiale corrisponde cioè un’accentuata immobilità dell’immagine del passato. Le cose sono sempre andate così; il mondo è quello che è. Soltanto nei periodi di acuta trasformazione sociale emerge l’immagine, generalmente mitica, di un passato diverso e migliore – un modello di perfezione, di fronte a cui il presente appare come uno scadimento, una degenerazione. “Quando Adamo zappava e Eva filava, chi era nobile?”. La lotta per trasformare l’assetto sociale diventa allora un tentativo consapevole di tornare a quel mitico passato».
Carlo Ginzburg, Il formaggio e i vermi, Einaudi, Torino 2009. p. 91.
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La particolarità della crisi contemporanea è che la trasformazione del glorioso passato è ostaggio degli estremismi di destra. A tutti piace Tolkien e il suo meraviglioso mondo fatto di Virtù, Natura e Morale, ma solo gli xenofobi l’hanno inserito nel loro immaginario.
Estremista è ogni visione gloriosa del passato, altrimenti come la fai la rivoluzione? La differenza con qualche generazione fa – quella in cui Nietzsche e Wagner annunciavano e cantavano una gloria che apparteneva a tutti, universale – è che questo estremismo è stato consegnato a chi di tutta questa Storia della Crisi, di questa dinamica della crisi (quella in cui il passato diventa migliore del presente e quest’ultimo va trasformato in un passato che esiste solo nella mente di chi vive nel presente) non ne sa nulla, la vive ma non la sa. La conseguenza è che la crisi è in mano al conservatore, l’estremista di destra, col risultato di radicare e rendere ancora più immobile il presente, riducendo l’immaginario del passato alla sola delizia tolkeniana.