Altissima povertà

Ciò che i francescani non si stancano di ribadire e su cui anche il ministro generale dell’ordine, Michele da Cesena, che pure aveva collaborato con Giovanni XXII nella condanna degli spirituali, non è disposto a transigere, è la liceità per i frati di servirsi dei beni senza avere su di essi alcun diritto (né di proprietà né di uso): nelle parole di Bonagrazia, sicut equus habet usus frati, «come il cavallo ha l’uso di fatto, ma non la proprietà dell’avena che mangia, così il religioso che ha abdicato a ogni proprietà ha il semplice uso di fatto (usum simplicem facti) del pane, del vino e delle vesti» (Bonagrazia, p. 511).

Nella prospettiva che qui ci interessa, il francescanesimo può essere definito – e in questo consiste la sua novità, ancor oggi impensata e, nelle condizioni presenti della società, del tutto impensabile – come il tentativo di realizzare una vita e una prassi umane assolutamente al di fuori delle determinazioni del diritto. Se chiamiamo «forma-di-vita» questa vita inattingibile dal diritto, allora possiamo dire che il sintagma forma vitae esprime l’intenzione più propria del francescanesimo […].

Se, da una parte, gli animali sono umanizzati e diventano «frati» («chiamava tutte le creature col nome di fratelli», Francesco 2, II, p. 156), per converso, i frati sono equiparati, dal punto di vista del diritto, a degli animali.

Giorgio AgambenAltissima povertà. Regole monastiche e forma di vita, Neri Pozza, Vicenza 2012, pp. 136-137.

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