«Alla fine della seconda guerra mondiale, due sono state [in Francia] le forze emergenti, poiché entrambe all’origine della resistenza all’occupazione nazista: i gollisti e i comunisti. Tali forze si intendevano tacitamente su due regole fondamentali: innanzitutto, lo Stato aveva delle responsabilità economiche e sociali, da cui la serie importante di nazionalizzazioni (banche, industria automobilistica, energia…), la pianificazione centralizzata, la previdenza sociale ecc. In secondo luogo, la Francia non doveva allinearsi integralmente agli Stati Uniti, da cui il patto franco-sovietico siglato da De Gaulle. Questi due punti di accordo facevano da sfondo alla contrapposizione tra la destra gollista e la sinistra socialista. Per quanto riguarda l’intellettuale di sinistra, questi era essenzialmente un “compagno di strada” del Partito comunista, nel senso che considerava che le regole comuni scaturite dalla Resistenza e dalla Liberazione andassero riprese nel senso della sinistra, e non limitate come voleva la destra. Da qui l’impegno sociale (con il popolo e gli operai contro i borghesi), la neutralità in politica estera (né con gli Stati Uniti né, troppo direttamente, con l’URSS), l’anticolonialismo. Oggi tutto ciò non ha più nessuna pertinenza. Le categorie di “sinistra” e “destra” si sono americanizzate: sono solo sfumature nella gestione capitalista. Tutti si richiamano alla “democrazia” – che io personalmente preferisco chiamare “capital-parlamentarismo” – come all’unico regime politico accettabile. Gli intellettuali dominanti sono diventati pappagalli della cosiddetta democrazia, e fanno la morale alla terra intera su basi che sono in realtà imperialiste. Ho sentito con le mie stesse orecchie una quantità di intellettuali di “sinistra” approvare caldamente il bombardamento di Kabul da parte dell’aviazione americana in nome delle liberazione delle donne afghane… La verità è che le categorie politiche stesse sono in rovina, e che la figura dell’intellettuale pubblico è diventata una caricatura».
Alain Badiou intervistato da Livio Boni e Andrea Cavazzini in Allegoria n. 58.
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La posizione di Badiou non è anti-intellettuale ma contro L‘intellettuale. Non è insomma una posizione contro la categoria. “Intellettuale” è una figura fondamentale che accompagna (“compagno di strada” dice il filosofo) un movimento politico e/o culturale. Lo commenta, lo giudica, lo radicalizza, lo semplifica, lo rende creativo o lo affossa. Intellettuale sta all’epoca storica che vive come il giornalista alla notizia: l’uno e l’altro non possono contaminarsi, pena la confusione su ciò che succede per il primo, la falsità di quel che dice per il secondo. “Intellettuale” è come “politico”: è una vocazione non una professione. Non la si sceglie, ma si è scelti. E’ questo il senso della frase: “Io non volevo neanche farlo il presidente, ma devo farlo perché molti me lo chiedono”, perché sono stato chiamato. Oggi però questa frase, che racchiude l’onore e la rispettabilità di una vocazione, si è trasformata nel suo contrario: “Io non volevo neanche farlo il presidente, il politico, l’intellettuale, mi fanno schifo, ma sono costretto a farlo, sono costretto a scendere in campo per difendere i miei interessi”. Ecco che l’intellettuale, anche quando è “chiamato”, rischia costantemente di diventare l‘intellettuale, perché può essere chiamato dalle persone sbagliate. Il genere peggiore di questa categoria è l’opinionista, colui che non solo si accontenta di snocciolare opinioni e mai verità, ma addirittura pretende che le sue opinioni siano spacciate come verità, nella consapevolezza che dureranno il tempo di un dibattito in tv. Belli i tempi dei sofisti, gli opinionisti del IV secolo avanti cristo. Quelli almeno, però, ti insegnavano un mestiere.
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Nella foto, Jean-Paul Sartre