Manca meno di una settimana all’atterraggio di Curiosity su Marte, robot che se non dovesse schiantarsi al suolo cercherà tra gli strati di roccia del cratere Gale la storia del pianeta rosso e del sistema solare. A bordo, oltre alle strumentazioni scientifiche ci sono due disegni di Leonardo Da Vinci: il codice del volo e un autoritratto. L’idea è stata suggerita da Silvia Rosa Brusin, redattrice del telegiornale scientifico italiano “Leonardo” ed è stata colta al volo dall’equipe del Curiosity che ha visto nei disegni un omaggio alla scienza.
Lo trovo un gesto molto dolce, una forte affermazione identitaria ma senza quello stravagante orgoglio positivistico condito da prosopopea occidentale che si ritrova nel Voyager Golden Record installato sul Pioneer, l’oggetto umano più distante dalla terra che attualmente si trova a 20 miliardi di chilometri da noi e sfreccia a 61mila chilometri orari. Il VGR è un bellissimo disco di rame placcato in oro con su registrati saluti in 55 lingue diverse, 27 brani di musica classica, suoni degli elementi naturali e versi di animali; ad esso è affiancata una piccola placca in oro con sopra incisi un uomo e una donna nudi e indicazioni sull’origine della sonda. Insomma una serie di informazioni caotiche e frammentarie che poco aiuteranno qualunque alieno a capire che razza di posto sia la terra. Quelli del Curiosity invece non hanno pensato a nessun alieno, non hanno avuto nessuna presunzione di rappresentare in maniera “ottimale” la cultura terrestre. Soltanto un disegno, lo scarabocchio di un genio sregolato forse ancora più incomprensibile del disco d’oro del Pioneer. Ma almeno è un onesto e sano omaggio a sé stessi.