Napoli, città moscia. Flaccida, lenta, pigra. L’evento dell’11 aprile dell’America’s Cup mette bene in scena questa “mosciaria”. E’ un bell’evento, sia chiaro. Bello da vedere, da vivere. Scattare qualche foto, darsi appuntamento sul lungomare per ammirare queste barche eleganti e gigantesche, quasi antitetiche alle navi da crociera che attraccano qualche centinaio di metri più a sud: brutte e gigantesche. Ma non è un evento importante. Per piacere, non chiamatelo importante per la città. E’ stato voluto, fortissimamente voluto. E questo è un bell’esempio.
Il programma attorno all’America’s Cup mostra bene questa mollezza. Dategli uno sguardo e ditemi se non somiglia più a una festa di paese che a un evento internazionale che richiama tutti gli appassionati di vela. Tornei di ping pong, esibizioni di scherma, gare culinarie, dj set, Roy Paci, Francesco Renga. E poi: mostre sulla storia della vela, mostre di fotografia sulla storia della vela, esibizioni sulla storia della vela. Storia. Storia. Storia. Pare che per organizzare questi spettacoli le amministrazioni si siano sforzati di fare qualche telefonata. Tutto qui. Che ci voleva a realizzare un’esibizione che mettesse in scena l’attualità di questa realtà, il suo mondo, le sue strategie. Proiezioni a tema sulle regate, mostre d’arte sulle forme e le sensazioni che la città esprime attraverso questo evento. Ah, già, non possiamo, siamo mosci. Ci scocciamo. Il golfo di Napoli apre le sue gambe a queste barche, le fa entrare e uscire. Tutto qui.