La storia del XXI secolo inizia con Get Back

Vorrei tanto parlarne con Alessandro Barbero.

Il modo in cui si fa storia, lo storicismo, non è sempre lo stesso, pur essendo rimasto nella sostanza sempre lo stesso. La filosofia della storia, le considerazioni sullo storicismo, ci dicono che ogni generazione percepisce la storia in un certo modo. La scrittura storica evolve, cambia.

Lo storicismo inizia con Tucidide ma è sulla fine dell’Ottocento, con Bloch e Dilthey, come Barbero ci spiega molto bene, che lo storicismo, il funzionamento della storia, diventano quello che sono oggi, cioè il modo in cui studiamo la storia a scuola. Si tratta di un certo modo di organizzare le fonti per narrare una storia fatta non soltanto di grandi personaggi ma anche di gente comune. All’ufficialità dei documenti regali si affiancano i diari, i resoconti dei tribunali, le vicissitudini della gente. Si crea un sottile equilibrio tra i fatti che sono accaduti e la loro narrazione. Non si tratta più di rincorrere l’autenticità, che è impossibile trattandosi di cose che non ci sono più, ma di avvicinarcisi il più possibile. Chi mantiene questo equilibrio è un buono storico e ci consegna narrazioni sufficientemente autentiche.

Ma che sia Tucidide od Hobsbawm, la fonte non è mai cambiata. È la biblioteca, i testi, i documenti. Nulla di più. Lo storicismo evolve, il modo in cui raccontiamo quello che è successo non è sempre uguale, riflette la cultura in cui avviene, ma si è sempre costruito sugli stessi identici materiali, i testi. Cambia l’approccio interpretativo, l’esegesi, ma non la fonte. Il susseguirsi delle generazioni non lascia che carta scritta. Lo storico lavora quasi esclusivamente sulla carta, da sempre, da cui estrae un racconto che renda verosimile una lettera morta. Di fatto, nessuno può raccontare veramente quello che è successo. Non esistono fatti ma solo interpretazioni è un aforisma per dire che è ingenuo pretendere l’autenticità oggettiva se la storia accade quando le soggettività si mettono in moto. Chi potrebbe? Neanche un testimone potrebbe essere sufficientemente autentico, perché è la sua visione parziale. L’unico modo per vivere l’autenticità del passato è tornare indietro nel tempo. La verità storica in assoluto, quindi, non esiste. Il passato è perduto per sempre. Finanche la nostra memoria, quella del nostro autentico passato, viene rimaneggiata dall’inconscio e ci allontana dai fatti accaduti. Quello che possiamo fare è recuperare dagli archivi quello che è possibile comprendere di quello che è accaduto, che sarà sempre parziale, da completare con il lavoro di interpretazione dello storico. Il lavoro dello storico è un sottilissimo equilibrio tra romanzo e fatto.

Nei primi del Novecento arriva prima la fotografia, poi l’audio e il video, e il discorso dello storico cambia. Sono generazioni che, manco ce ne accorgiamo, vediamo e sentiamo letteralmente i grandi personaggi storici. L’inizio della corsa alla Luna è un filmato di un discorso di Kennedy. Non si può dire lo stesso della propaganda di Lincoln e dei suoi leggendari comizi. Ci farà ancora più impressione domani tutto questo, o forse è oggi che ci fa impressione e domani sarà la consuetudine dello storico? Prima, vedere e sentire la storia era impossibile, si poteva soltanto leggerla. È un cambiamento profondo, costante, lento, inesorabile, del modo in cui percepiamo il passato. Non più solo testo ma anche immagini, suoni e visioni. Sono sconvolgimenti ermeneutici.

Con Get Back di Peter Jackson abbiamo uno dei primi esempi meglio costruiti di questo nuovo storicismo. È il lavoro più ricco e sistematizzato mai fatto di questa nuova fonte storica, l’audio-visivo. La sua straordinarietà non risiede semplicemente nell’essersi preso la briga di schiaffarci in faccia centinaia di ore di girato. Non è proprio quello che è successo. Questo siamo capaci di farlo tutti, di raccogliere cose e buttarle in mezzo. È quello che facciamo quando chattiamo e comunichiamo: ci schiaffiamo in faccia roba che condividiamo a catena, assumendo il ruolo di intermediari senza moderazione, senza filtro, investiti di contenuti che facciamo rimbalzare senza riflessione. Lo youtuberaggio è un sapiente lavoro di montatura di materiali ma è senza storicismo, perché non si preoccupa di narrare fatti ma di opinare ossessivamente sulle cose senza limitarsi a narrarle.

Di 200 e passa ore di girato Get Back ne estrae appena 8. È un lavoro storicistico, cioè di montaggio e selezione. Una novità che balza agli occhi nel primo episodio, quando Linda Eastman-McCartney scatta le foto al gruppo. Prima avevamo solo la foto di quei momenti, decine di foto di quei giorni di preparazione al concerto. Ora, quelle foto ci sono state contestualizzate nel momento in cui sono state scattate. Pensateci, è una cosa inaudita. Se prima avevamo lo scatto di quei momenti, moltiplicati sui giornali nei decenni successivi come fonte storica, ora abbiamo il momento in cui quella foto è stata scattata e cosa stava succedendo mentre c’era qualcuno che scattava quelle foto. Come l’immagine del monaco di Saigon in fiamme, di cui abbiamo anche il video di quel momento, che ci permette di guardare quella foto storica con maggiore profondità.

Peter Jackson ha diretto uno straordinario lavoro dei montatori. Non ha fatto il regista di Hollywood ma il professore di cattedra di un lavoro storico, e i montatori gli assistenti ricercatori bibliotecari. Non è la prima volta che succede una cosa del genere ma, sarà che sono i Beatles – che sono un canone, cioè un modello poco controverso, un classico, qualcosa di non opinabile, più facile da maneggiare di un personaggio politico, per esempio -, comunque sia, il livello di sistematizzazione storicistica raggiunto con questo documentario potrebbe non avere precedenti e rappresentare a sua volta un nuovo canone storicistico.

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