Tağdid

Prayer_in_Cairo_1865

Preghiera al Cairo, Egitto, 1865 (via)

Tağdid, «rinnovamento», è la parola simbolo di un movimento che, all’alba del XXI secolo cristiano e del XV secolo islamico, si diffonde dall’Africa in tutto il Medio Oriente fino a raggiungere il Pakistan, la Malesia e l’Indonesia! […]. Ricorderemo qui come si è arrivati a questo sorprendente sviluppo.

• La stagnazione culturale dell’islam, latente già dal XII secolo ed evidente dal XV secolo, la perdita di prestigio politico a partire dal XIX secolo e infine l’acuta crisi d’identità provocata dal colonialismo e dall’imperialismo occidentali.

• L’indipendenza politica di molti paesi islamici dalle potenze coloniali durante gli anni 1950-1960 […] creò i presupposti necessari per il rifiorire della religione in questi stati islamici (oggi ammontano a oltre 50 in tutto il mondo e fanno capo all’Organizzazione della Conferenza Islamica, l’OCI). Il 12 e 13 febbraio del 2004 l’OCI si è riunita a Istanbul, manifestando, insieme alla Ue, netta disapprovazione per il concetto geopolitico di «scontro di civiltà» elaborato già da tempo dai teorici americani «neoconservatori».

• Dopo tutte le promesse non mantenute del nazionalismo arabo, del panarabismo e del socialismo arabo, i successi militari-economici conseguiti dal 1973 in avanti, come le vittore nella guerra arabo-israeliana e l’embargo del petrolio, e soprattutto l’ascesa al potere dell’ayatollah Khomeini nel 1979 con la deposizione dello shah e l’umiliazione inferta agli Stati Uniti (vedi la vicenda degli ostaggi di Teheran) hanno contribuito alla nascita di un forte senso d’identità e di orgoglio

• Contemporaneamente, le delusioni del mondo occidentale e l’incapacità di risolvere i problemi economici e sociali interni dimostrata dai governi islamici filo-occidentali hanno messo in profonda crisi il paradigma moderno – sia nella sua versione socialista-sovietico-cinese sia in quella capitalistico-europeo-americana. Nella prima la giustizia sociale sacrificava ogni forma di libertà; nella seconda la libertà sacrificava ogni forma di giustizia sociale.

• Di fronte all’esclusiva attenzione del mondo occidentale e dell’Est europeo verso la soddisfazione dei bisogni materiali, si diffondeva nei paesi islamici una maggiore attenzione verso i valori spirituali, morali e religiosi. La trasfusione tecnologica occidentale, che avrebbe dovuto avviare verso la guarigione i paesi islamici, era fallita: la più lampante dimostrazione era il caso dell’Iran, che aveva rappresentato il fiore all’occhiello della politica degli aiuti occidentali al mondo arabo dopo la Seconda guerra mondiale

E da tali premesse che nasce la domanda: come dobbiamo valutare la rinascita del mondo islamico all’alba del XXI secolo? Si tratta di una semplice reazione militante-politica sia al colonialismo e all’imperialismo occidentali che, dall’altra parte, al crollo del comunismo sovietico? O è la temibile e ambivalente conseguenza della politica degli aiuti dell’Occidente con il suo trasferimento di tecnologia? Risposta: è tutte queste cose insieme!

Hans Küng, Islam: passato presente e futuro, Rizzoli-Bur, Milano 2005, parte V (E).

Chi sono i terroristi/4 – Il desiderio del fondamentalista

Superuomo

di Slavoj Žižek

[Questo articolo è uscito su The New Statesman il 10 gennaio 2015 e tradotto in italiano da Le parole e le cose]

Ora, mentre siamo tutti sotto choc dopo la furia omicida negli uffici di Charlie Hebdo, è il momento giusto per trovare il coraggio di pensare. Dovremmo, com’è ovvio, condannare senza ambiguità gli omicidi come un attacco alla sostanza stessa delle nostre libertà e farlo senza riserve nascoste (del tipo «comunque Charlie Hebdo provocava e umiliava troppo i Musulmani»). Ma questo pathos di solidarietà universale non è abbastanza. Dobbiamo pensare più a fondo.
Pensare più a fondo non ha nulla a che fare con la relativizzazione a buon mercato del crimine (il mantra «chi siamo noi occidentali, perpetratori di massacri terribili nel Terzo Mondo, per condannare atti simili»). Ha ancora meno a che fare con la paura patologica di molta sinistra liberal occidentale: rendersi colpevole di islamofobia. Per questa falsa sinistra ogni critica verso l’Islam è espressione di islamofobia occidentale: Salman Rushdie fu accusato di aver provocato inutilmente i Musulmani e quindi di essere responsabile, almeno in parte, della fatwa che lo ha condannato a morte, eccetera. Il risultato di una simile posizione è quello che ci può aspettare in questi casi: più la sinistra liberal occidentale esprime la propria colpevolezza, più viene accusata dai fondamentalisti di ipocrisia che nasconde odio per l’Islam. Questa costellazione riproduce perfettamente il paradosso del Super-io: più obbedisci a ciò che l’Altro ti chiede, più sei colpevole. Più tolleri l’Islam, più la pressione su di te è destinata a crescere.

Ecco perché trovo insufficienti i richiami alla moderazione sulla falsariga dell’appello di Simon Jenkins («The Guardian», 7 gennaio), secondo il quale il nostro compito è quello di «non reagire eccessivamente, di non pubblicizzare eccessivamente le conseguenze dell’accaduto. È invece quello di trattare ogni evento come un episodio di orrore passeggero». L’attacco a Charlie Hebdo non è stato un mero «episodio di orrore passeggero»: seguiva un preciso piano religioso e politico e, come tale, era parte di uno schema molto più ampio. Certo: non dobbiamo reagire eccessivamente se per questo si intende soccombere a una cieca islamofobia – dovremmo però analizzare questo piano in modo spregiudicato.

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