Gli universali prima dei particolari: povere creature!

Yorgos Lanthimos ed Emma Stone

La potenza dell’emancipazione sta negli universali. L’autodeterminazione, la libertà culturale, l’uguaglianza, la redistribuzione, per dirne qualcuno, sono degli universali. Il comunismo (redistribuzione), il femminismo (libertà culturale, universale che contiene il sessuale), l’anarchismo (autodeterminazione), il socialismo (uguaglianza), sono i particolari di questi universali: ciascuno di questi particolari contiene quegli universali, altrimenti è farlocco, è fumo negli occhi, è edonismo, è liberismo. Gli universali, infine, sfumano tra i particolari: alcuni particolari contengono specifici universali, oppure li hanno solo per certi periodi.

La prima conseguenza di questo assetto cognitivo del politico è che qualsiasi lotta politica per essere efficace deve essere universale, cioè deve riguardare tutti, indistintamente, anche gli stronzi, anche i nemici, anche chi rema contro. “Universale” è una parola pesante, travalica l’individualità, la scamazza, l’individuo si sacrifica, politicamente, all’universale. O, per dirla in termini meno trascendenti, l’individuo conta molto poco dinanzi all’universale, nonostante sia l’unico su cui l’universalità può contare. L’universalità è la chiave per rendere un’istanza privata un’istanza collettiva, politica. Vuoi fare più soldi? Augurati che possano tutti fare più soldi. Non è sostenibile? Augurati un mondo in cui è sostenibile fare i soldi. “Sostenibile” è l’universale del particolare “soldi”, in questo caso.

Altri particolari sono l’edonismo, il liberismo, l’individualismo, il successo, il merito, la competizione, cioè la società universale in cui viviamo oggi. Sono particolari molto belli, utili per lo sport, la prostata e la libertà d’impresa ma per essere affermati vanno resi universali. Fanno bene alla salute? Sì, ma sono anche dei farmaci: curano e avvelenano allo stesso tempo, vanno usati con cautela e in determinati contesti. Abusarne rende disperati, affamati, infantili, immorali, bugiardi e narcisisti come chi abusa dei video di Tik Tok. I particolari presi a dosi massicce, pisciando sugli universali, ci rendono piccoli piccoli, tutti concentrati sui nostri bisogni. Dei piagnoni senza autonomia. Incapaci di autodeterminarci.

Povere creature di Yorgos Lanthimos parla di femminismo, parla della donna, del corpo, ma anche dell’autodeterminazione. Il fatto che il discorso sul film sia intriso dei primi tre termini particolari e non dell’unico universale, il quarto, vuol dire che la società in cui viviamo è orfana degli universali. Ce lo dice proprio il film e ce lo diciamo tra di noi, senza rendercene conto.

Godwin Baxter (Willem Dafoe), nonostante usi i corpi come oggetti, lascia che la creatura che ha generato possa autodeterminarsi, rischiando anche la vita, rischiando soprattutto la vita, per potersi autodeterminare. Bella (Emma Stone) è una donna e questa libertà, l’autodeterminazione, deve prima di tutto esercitarla tramite il femminismo, il mezzo della sua emancipazione. Poiché è una donna deve usare il suo corpo per emanciparsi, perché il corpo di una donna è sempre espropriato, e per riappropriarselo bisogna prima di tutto tradire e scopare.

Baxter, che maltratta i particolari, le persone, e che non sa cos’è il femminismo, è molto più femminista di chi si professa “femminista”, cioè di chi fa del femminismo una performance. Non bisogna essere educati con le persone, bisogna essere rispettosi con le persone, con tutti, anche con le donne, per quanto riguarda i maschi. Baxter ha un carattere di merda ma rispetta gli universali, e necessariamente allora rispetta anche i particolari, le persone che maltratta. Nessuno vorrebbe vivere con Baxter ma il suo comportamento è esemplare, nonostante molto spesso si comporti una merda.

Lascia stare il particolari, concentrati sull’universale. Non ti distrarre.

L’emancipazione femminile, così come la libertà sessuale, richiede una società egalitaria in cui esercitare la libertà di scopare o di essere donna, altrimenti è edonismo camuffato per libertà collettiva, dove “collettivo” è parente di voyeur: guardami mentre esercito la mia libertà. Il porno può essere un mezzo del femminismo ma di per sé è uno strumento utilizzabile da chiunque. Il sesso, che quando è guardato è porno, è un mezzo per l’emancipazione. Ma la libertà sessuale è un’altra cosa, è più ampia della sessualità femminile, la include, come il sesso rispetto al porno. La libertà sessuale presuppone una libertà più ampia, l’autodeterminazione universale, altrimenti è libertà concessa. La mia libertà dovrebbe essere garantita da una libertà più ampia delle mie capacità particolari di esercitare una certa libertà in cui riconoscermi, magari perché vivo in un contesto privilegiato.

Il punto focale è che il successo di qualsiasi politica di emancipazione, dal femminismo all’ambientalismo, richiede un universale: la realizzazione di un particolare ha un grosso dipende, l’universale. Le istanze particolari delle politiche emancipatorie dovrebbero farsi assorbire da un universale, e dovrebbero farsi assorbire con la stessa determinazione di Bella: spremere l’universale, usarlo come meglio si crede per ottenere quello che si vuole. Bella si autodetermina inizialmente perché, almeno in quella fase della vita, deve scoprire il sesso. Poi, tra una scopata e l’altra, prigioniera di Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo), incontra altre due persone che la emancipano facendole scoprire la conoscenza, cioè la capacità di pensare in autonomia, e allora Bella fa un altro salto includendo un universale in un altro universale più ampio: l’autodeterminazione, concessa da Baxter, presuppone la capacità di pensare liberamente. Che tu sia Baxter o Duncan, uno stronzo o un pusillanime, potrai sempre far parte di un universale. C’è posto anche per te, se vuoi.

Che cos’è una politica di emancipazione

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«Bisognerebbe evitare di farci intrappolare nel gioco progressista di “quanta tolleranza nei confronti dell’altro possiamo permetterci”: dovremmo tollerare che si picchino le donne, che si obblighino i figli a matrimoni combinati, che si brutalizzino i gay e così via? Messa in questi termini, naturalmente, non siamo mai abbastanza tolleranti, oppure siamo sempre troppo tolleranti, perché trascuriamo i diritti delle donne.

L’unico modo per uscire da questa impasse è proporre un progetto positivo universale condiviso da tutti i partecipanti e lottare per la sua realizzazione. Proprio per questo, un compito cruciale di chi oggi combatte per l’emancipazione è superare il semplice rispetto per gli altri e avviarsi verso una vera Leitkultur [cultura dominante] emancipatrice, la sola che può sostenere un’autentica coesistenza e mescolanza di culture diverse.
Il nostro assioma dovrebbe essere che la lotta contro il neocolonialismo occidentale così come la lotta contro il fondamentalismo, la lotta di Wikileaks e di Edward Snowden così come la lotta contro l’antisemitismo così come la lotta contro il sionismo aggressivo sono parte di una stessa e unica lotta universale. Se ci perdiamo nei compromessi, la nostra vita non merita di essere vissuta».

Slavoj Zizek, Rotherham e i limiti della società multiculturale, Internazionale 5/11 settembre 2014, n. 1067, p. 35.

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Il discorso del filosofo sloveno coglie due punti sostanziali relativi all’efficacia delle politiche di emancipazione.

1. I principi universali non possono essere induttivi ma soltanto deduttivi. Non ci si può “mettere d’accordo” sulla base delle identità delle comunità umane concrete che coesistono in uno stesso territorio. Così facendo si determina soltanto il gioco infinito delle classi dominanti con la loro concezione della tolleranza, la loro leitkultur, ovvero esattamente quello che accade oggi, con l’aggravante che questo “gioco delle tolleranze” è travestito da un finto multiculturalismo, una politica pseudo-egualitaria che resta tale fintantoché non tocca gli interessi di chi la promuove.
Invece i principi universali di una sana convivenza multiculturale sono, purtroppo, deduttivi. Dico purtroppo perché sono per forza di cose campati in aria: idee, principi, assiomi etici che solo in un secondo momento vanno “indotti” ovvero, come dice Zizek, “condivisi da tutti i partecipanti”, “lottando per la loro realizzazione”. Lottando per la loro realizzazione? “Ma basta con le guerre e la violenza, vogliamo la pace” afferma chi è già emancipato. “Anche noi vogliamo la pace, ma per ottenerla dobbiamo lottare” replicano quelli che non sono emancipati. Il concetto di lotta porta al secondo punto sostanziale per realizzare una politica di emancipazione su principi universali dedotti.

2. C’è un’universalità di fondo in tutte le eterogenee lotte di emancipazione a cui assistiamo in questi anni. Non si tratta però di un’universalità che balza agli occhi, sostanziale, evidente, ma di un’universalità nascosta che va tirata fuori per i capelli. È un’universalità partecipativacoattiva: questa universalità la dobbiamo trovare, non è lei che trova noi.
Ora però il punto 1, che i principi universali di emancipazione sono essenzialmente deduttivi, rischia di restare un postulato astratto se non prende spunto da qualcosa di concreto. L’eterogeneità delle lotte di emancipazione moderne potrebbe essere la concretezza di cui hanno bisogno i principi di emancipazione universale. L’eterogeneità di eventi quali la primavera araba, le lotte di Wikileaks per la libertà di informazione, il sacrificio di Edward Snowden per la libertà dei cittadini occidentali, la lotta delle Pussy riot contro l’establishment russo, ma anche le proteste di Ferguson contro la polizia che spara ai negri, sono tutte lotte che hanno qualcosa in comune tra loro, pur rivendicando interessi politici diversi, finanche interessi di classe, di lobby, di mestieri, differenti.

Scoprire quale sia questo qualcosa di comune, riordinarlo in un quadro di principi universali da negoziare tra le comunità umane, è lo scopo di ogni politica di emancipazione. Questi principi, essendo dedotti idealmente e non indotti praticamente, non possono che essere massimamente generici ma proprio per questo massimamente etici:

• Il profitto è il valore dello sfruttamento.
• I soldi sono uno strumento, non lo scopo (tecnicamente è merda vitale).
• La finanza attuale non può più essere tollerata come strumento per arricchirsi, va limitata e regolamentata, oppure eliminata, perché il concetto di ricchezza che concepisce non è di tipo distributivo ma speculativo, basato su un finto liberalismo che rivendica una finta propria ricchezza fatta di finti solitari sforzi quando in realtà sono il frutto degli sforzi anche di altri, i quali prendono le briciole, se non nulla (vedi profitto come valore di sfruttamento).

Una volta tutti questi principi si raccoglievano nel concetto di “comunismo”. Ma c’è un tempo anche per le parole. Fortunatamente non per i principi che in esso sono contenuti, che sono immortali.

Riordinare i principi universali e negoziarli tra le comunità umane per una sana convivenza sono il fondamentalmente passo che l’umanità, da quando è nato il comunismo, ha sempre mancato di fare. Fallendo, grandiosamente o miseramente, proprio un attimo prima.