Ma oggi, no, parlare di rivoluzione seduti davanti al pc che senso ha? Davvero, non è una domanda retorica. Se il web è la fabbrica, allora la rivoluzione sta non nell’averla espropriata ma nell’averla costruita e conquistata, o nell’averla trovata e abitata. Allora il cambiamento radicale sarebbe già avvenuto e ne staremmo già godendo i benefici da un po’. Ma ancora si ha l’insopprimibile sensazione che qualcosa debba cambiare. Pare allora che non dovremmo rivolgerci più contro qualcosa. Non si tratterrebbe solo di espropriare per noi qualcosa che prima non ci apparteneva. Non è solo su questo piano che può avvenire la trasformazione. Un geek, su questo è molto New Age, non esiterebbe a rispondere che questo “mutamento improvviso e profondo che comporta la rottura di un modello precedente e il sorgere di un nuovo modello” (Wikipedia) ci appartiene più da vicino di quanto possiamo pensare, poiché riguarda il nostro modo di vedere le cose e non più l’egemonia con il suo modo sbagliato di vedere le cose, in pratica, allo stato attuale, in entrambi i casi si parla della stessa cosa. L’ulteriore difficoltà sta nel fatto che se un cambiamento è necessario, lo è all’interno di un contesto che, da un lato, è già in parte emancipato e, proprio per questo, fa liberamente dell’emancipazione una merce. Di nuovo, non è più l’espropriazione l’atto rivoluzionario, è rimasto poco, per quanto rilevante, da espropriare. It’s complicated, come piace dire agli anglofoni. E d’altronde quando mai non lo è stato.