Il senso della vita

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Cercavo Avamposto 42, il sito dedicato alla quarantaduesima missione della Stazione Spaziale Internazionale (parte stasera dal Kazakistan alle 22:01:13 ora italiana). Così ho scritto “42” sulla barra URL e il correttore google mi ha portato su www.42.com, una pagina di testo che trova a suo modo il senso alla Risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto: math, ovvero la somma delle posizioni nell’alfabeto delle lettere della parola “matematica” in inglese, che dà: 13(M)+1(A)+20(T)+8(H)=42.

Oh, si gioca eh. Il fascino della numerologia è proprio il suo gioco (basta guardarsi la divertentissima pagina sul 42 di wikipedia). E infatti il senso della vita è esattamente questo gioco: un senso che ha luogo fintantoché si rispettano delle regole. Ancora meglio: un senso che è definito dalle sue stesse regole, come negli scacchi, dove per spiegarne il senso devi limitarti a enunciarne le regole: l’alfiere va solo in diagonale, il cavallo solo a elle, etc. Certo, lo scopo degli scacchi è mangiarsi la regina, ma nessuno scacchista ti direbbe che il bello del gioco degli scacchi è mangiarsi la regina, piuttosto le mosse per metterla in scacco.

Le regole hanno un campo di applicazione che non è mai totale, ovvero un campo che non comprende mai, estensivamente, l’universo intero ma soltanto quello nel quale il gioco ha luogo. È il motivo per cui il gioco è un gioco, una finzione.

Per concludere, come la goliardica trovata del “42” di Douglas Adams insegna, non c’è senso della vita, nel senso di uno scopo ultimo, una trascendenza finale epifanica che scioglie ogni dubbio trasfigurando l’esistenza, ma solo la necessità di obbedire alle sue regole.

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